Come ogni anno, a partire dal 1989, il 17 gennaio, si celebra la giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo ebraico cristiano.
Quest’anno il testo scelto per il confronto e la riflessione, in occasione della trentaquattresima ricorrenza di questa giornata, è il brano di Is 40,1-11, particolarmente importante sia nella liturgia ebraica che in quella cristiana.
Il grande libro di Isaia è, secondo gli esegeti, suddiviso in tre grandi sezioni:
Il capitolo 40 del libro di Isaia quindi costituisce il prologo del cosiddetto “libro della consolazione” che abbraccia i capitoli 40-55 ed è attribuito al Secondo Isaia, profeta operante durante il periodo oscuro dell’esilio in Babilonia.
A differenza di Isaia, le cui parole intendono scuotere Israele dalle sue false certezze, il Deutero Isaia è accanto e vede un popolo scoraggiato, indebolito sotto il giogo della potenza straniera, un popolo che ha bisogno di essere consolato e spronato nel credere ancora che Dio non lo ha abbandonato, ma è al suo fianco.
Gli avvenimenti del 587 a.C. segnarono profondamente la vita del popolo ebraico: la caduta del Regno di Giuda sotto la potenza dell’esercito di Nabucodonosor, la distruzione del Tempio di Gerusalemme e la deportazione di gran parte della popolazione rappresentarono una vera e propria catastrofe per Israele.
La lontananza da Sion se da un lato permise al popolo di riscoprire la sua identità e riflettere sulla propria condizione, dall’altro lo fece precipitare in un profondo scoraggiamento: dove era il Signore? Aveva davvero abbandonato Israele…? Intanto una nuova potenza antagonista a quella babilonese sorge all’orizzonte, è quella persiana.
Nel 539 a.C. re Ciro di Persia conquista Babilonia e con il suo editto nel 538 permette agli esuli di fare ritorno in patria. L’attività del Deutero Isaia può essere collocata negli anni antecedenti alla conquista di Ciro, il popolo è fiaccato dalla disperazione e in questo scenario di tenebra si leva forte la parola del profeta che annuncia la consolazione divina.
Ed è proprio con queste parole che si apre il capitolo 40:
“Consolate, consolate il mio popolo”,
A causa dell’arroganza del nemico, Israele ha sofferto più di quanto era dovuto, ma una simile sofferenza non resterà certamente senza ricompensa.
Nei versetti 3-5 il profeta introduce il tema del nuovo esodo, attraverso il deserto bisognerà preparare una via al Signore, il deserto è un luogo altamente simbolico, è il luogo dell’alleanza e dell’incontro con Dio, è il luogo del silenzio che ci predispone all’ascolto della parola del Signore, questi sono i versetti che preannunciano la liberazione, il ritorno, che non sarà puramente materiale e geografico, ma sarà una conversione spirituale, un ritorno alla fede e alla speranza.
Nei versetti 6-9 infine si afferma che non bisogna temere l’oppressore che è come erba che secca, ma bisogna confidare nelle promesse del Signore che sono stabili e mai verranno meno, il Signore infatti verrà e come un pastore con amore pascerà il suo gregge.
Ma cosa può dire oggi questo splendido passo di Isaia ad ebrei e cristiani impegnati nel dialogo e nella conoscenza reciproca sempre più profonda e che camminano nella storia?
Abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo momenti molto difficili e complessi: la pandemia, le guerre, le difficili condizioni economiche di molti, i disastri ecologici….ci rendiamo conto che ogni momento storico ha i suoi esili e i suoi momenti di tenebra, ed ecco che proprio in questi frangenti i credenti nel Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe sono chiamati ad essere segno di consolazione nel mondo, sono chiamati a farsi profeti, consapevoli che la Parola di Dio mai viene meno e che il Signore sempre accompagna l’umanità.
Interessante a tal proposito è notare che il primo versetto del cap.40 di Isaia può essere tradotto sia “consolate, consolate il mio popolo” , inteso come un messaggio di Dio rivolto all’uomo, anche se il testo non chiarisce chi è che deve consolare a nome del Signore, ma può essere tradotto anche come un vocativo, grammaticalmente non è sbagliato, quindi: ”consolate, consolate mio popolo” , cioè come un invito rivolto da Dio al popolo che deve consolare, farsi segno di consolazione nella storia.
Ecco quindi quello che noi cristiani ed ebrei insieme siamo chiamati ad essere in questo mondo che spesso smarrisce Dio, in questo mondo le cui logiche di sopraffazione e profitto schiacciano i più deboli, i diseredati, gli emarginati….noi siamo chiamati ad essere portatori di consolazione, segni di speranza negli esili della storia, consapevoli che la promessa di Dio non viene meno e la Sua Parola è per sempre!
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Teologa, studiosa di ebraismo e appassionata di astronomia. Impegnata da anni nel dialogo Interreligioso, docente di religione e docente di ebraico ed esegesi dell’A.T. presso ISSR San Matteo (SA).