L’ecologia integrale come alternativa alla “cultura dello scarto”

Nella sua ultima riflessione Don Davide Bertocchi ha posto in evidenza il profondo radicamento che la cura del creato ha nella Sacra Scrittura, in un legame simbiotico che caratterizza le stesse dimensioni della Creazione e della Redenzione in Cristo «pienezza» (Dei Verbum 2) e «compimento» (Dei Verbum 7) dell’intera Rivelazione.

Forti di queste radici bibliche possiamo riflettere in maniera più compiuta su quello che si deve intendere con ecologia integrale per evitare che il dibattito pubblico ridimensioni o trascuri la complessità e la pienezza di questo concetto.

Va innanzitutto rimarcato come questa lettura antropologica non nasca di certo con la Laudato sì, sebbene l’Enciclica di Papa Francesco abbia avuto il grande merito di averla posta al centro del dibattito politico.

È un tema caro alla Dottrina sociale della Chiesa rispetto alla quale può fungere da autentica “chiave di lettura” nella società contemporanea. Più di recente già Benedetto XVI nella Caritas in Veritate aveva posto grande attenzione al giusto rapporto che deve legare l’umanità alla sua casa.

Nel documento si mette in evidenza come:

«il tema dello sviluppo è oggi fortemente collegato anche ai doveri che nascono dal rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale. Questo è stato donato da Dio a tutti, e il suo uso rappresenta per noi una responsabilità verso i poveri, le generazioni future e l’umanità intera. Se la natura, e per primo l’essere umano, vengono considerati come frutto del caso o del determinismo evolutivo, la consapevolezza della responsabilità si attenua nelle coscienze. […] Se tale visione viene meno, l’uomo finisce o per considerare la natura un tabù intoccabile o, al contrario, per abusarne. Ambedue questi atteggiamenti non sono conformi alla visione cristiana della natura, frutto della creazione di Dio» (CV 48).

Ciò comporta che:

«le modalità con cui l’uomo tratta l’ambiente influiscono sulle modalità con cui tratta sé stesso e, viceversa. Ciò richiama la società odierna a rivedere seriamente il suo stile di vita che, in molte parti del mondo, è incline all’edonismo e al consumismo, restando indifferente ai danni che ne derivano» (CV 51).

È questa la dimensione antropologica che ispira e guida anche la Laudato sì con la quale Papa Francesco ha voluto disegnare una prospettiva di impegno a servizio dell’umanità, poi proseguita con la Fratelli tutti e, da ultimo, con la Laudate Deum.

Soltanto riscoprendo il senso profondo dell’ecologia integrale possiamo comprendere il seme della fraternità universale; soltanto riscoprendo la fraternità universale possiamo avere cura del creato nella consapevolezza di una ecologia integrale.

Di certo l’Enciclica per la cura della casa comune non è soltanto una enciclica “ambientalista” o “ecologica”; è un’enciclica pienamente incardinata nella Dottrina sociale della Chiesa perché assume quale prospettiva di lettura dei tempi proprio il concetto di “ecologia integrale” (LS 137).

Ecologia sì, ma “integrale” appunto. È proprio sul secondo termine che dovremmo infatti maggiormente riflettere.

«Tutto è connesso» ci dice il papa e quindi non possiamo approcciare alla complessità scegliendo soltanto una parte, magari quella che più ci aggrada o che risponde meglio alle sensibilità del tempo:

«quando non si riconosce nella realtà stessa l’importanza di un povero, di un embrione umano, di una persona con disabilità – per fare solo alcuni esempi –, difficilmente si sapranno ascoltare le grida della natura stessa. Tutto è connesso» (LS 117)

. Non solo, «il tutto è più delle parti, ed è anche più della loro semplice somma» (Evangelii gaudium 235). Non c’è solo l’ambiente o l’uomo; c’è il creato, ci sono le cose create, ci sono le creature. C’è la tutela ambientale e c’è lo sviluppo, il progresso e la lotta alla disparità economica:

«è necessaria un’ecologia economica, capace di indurre a considerare la realtà in maniera più ampia. […] Oggi l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e dalla relazione di ciascuna persona con sé stessa, che genera un determinato modo di relazionarsi con gli altri e con l’ambiente» (LS 141).

Ecologia integrale, dunque, ma anche umanesimo integrale; un umanesimo che aiuti a riconoscere nell’altro sempre una persona, nella sua ricchezza e nella sua specificità. Serve una scelta radicale che sappia assumere come paradigma la “cultura del creato” a discapito della sempre più imperante “cultura dello scarto”.

È questo il senso profondo dell’ecologia integrale, è questa l’unica via che conduce alla riscoperta di un nuovo umanesimo. L’ecologia integrale, infatti, è inseparabile dalla nozione di bene comune in quanto «il bene comune presuppone il rispetto della persona umana in quanto tale, con diritti fondamentali e inalienabili ordinati al suo sviluppo integrale»(LS 157).

Concetto che il Papa riprende con forza anche nella Fratelli tutti:

«se bisogna rispettare in ogni situazione la dignità degli altri, è perché noi non inventiamo o supponiamo tale dignità, ma perché c’è effettivamente in essi un valore superiore rispetto alle cose materiali e alle circostanze, che esige siano trattati in un altro modo. Che ogni essere umano possiede una dignità inalienabile è una verità corrispondente alla natura umana al di là di qualsiasi cambiamento culturale» (FT 213).

L’ecologia integrale ci invita a riconoscere la dignità dell’uomo e il suo ruolo di “custode”, della vita umana, dell’ambiente, delle altre creature, non rincorrendo la moda del tempo o le faziosità della politica.

Ecco che allora si comprende perché il relativismo sia alla radice della “cultura dello scarto” mentre l’ecologia integrale riconosce in sé la “cultura del creato”.

Ancora nella Laudato sì Papa Francesco lo spiega con estrema lucidità:

«la cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a lavori forzati, o riducendola in schiavitù a causa di un debito. È la stessa logica che porta a sfruttare sessualmente i bambini, o ad abbandonare gli anziani che non servono ai propri interessi. È anche la logica interna di chi afferma: “lasciamo che le forze invisibili del mercato regolino l’economia, perché i loro effetti sulla società e sulla natura sono danni inevitabili”. Se non ci sono verità oggettive né principi stabili, al di fuori della soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità immediate, che limiti possono avere la tratta degli esseri umani, la criminalità organizzata, il narcotraffico, il commercio di diamanti insanguinati e di pelli di animali in via di estinzione? Non è la stessa logica relativista quella che giustifica l’acquisto di organi dei poveri allo scopo di venderli o di utilizzarli per la sperimentazione, o lo scarto di bambini perché non rispondono al desiderio dei loro genitori? È la stessa logica “usa e getta” che produce tanti rifiuti solo per il desiderio disordinato di consumare più di quello di cui realmente si ha bisogno» (LS 123).

Ma allo stesso tempo bisogna guardarsi da altri due rischi di matrice relativista, il primo è quello di assolutizzare la natura in una sorta di ecologia “integralista” (LS 118), dall’altro quello di umanizzare la relazione con gli animali ricercando un’affettività alternativa all’accoglienza della vita nascente (Francesco, Udienza 20 gennaio 2024).

È necessario quindi educare a un cambio di paradigma culturale «perché quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi» è lì che si crea il vulnus per il relativismo e per l’arbitrio. È lì, in definitiva, che si compromette quella integrità che è il carattere stesso di un’autentica ecologia.

Vito Rizzo teologo ,giornalista,pubblicista
rizzovito76@gmail.com | + posts

Nel corso degli anni ha fatto suo il motto paolino «guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1Cor 9, 16). È avvocato, giornalista pubblicista, docente e catechista. Specializzato in teologia fondamentale presso la PFTIM - Sezione “San Luigi” con una tesi sulla fede popolare, ha approfondito nei suoi studi il magistero post-conciliare e in particolare quello di Papa Francesco. È direttore organizzativo del Festival della Teologia “Incontri”.

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