Gesù il primo femminista della storia
Al tempo di Gesù la vita di una donna era certamente non semplice. Nella letteratura sapienziale, la donna, ovviamente quella sposata, è descritta come “vite feconda nell’intimità della sua casa”, l’unica vocazione a cui poteva quindi aspirare era quella di essere una buona padrona di casa, previdente, accorta, dedita all’educazione e alla gestione dei figli, intenta a gestire in maniera coscienziosa l’economia della famiglia.
Nella cultura ebraica di duemila anni fa la presenza della donna è quindi una presenza nascosta, afona nella società, senza voce, che deve rimanere al suo posto, un posto ovviamente scelto dagli uomini per lei.
Su questo sfondo culturale emerge ancora con più forza la rivoluzione messa in atto dal Rabbi di Nazareth, da Gesù, che nelle pagine evangeliche interagisce, dialoga, guarisce e si circonda di numerose figure femminili.
L’atteggiamento di Gesù nei confronti delle donne presenta i caratteri di un’assoluta novità per l’ambiente culturale e religioso del tempo, egli accoglie senza distinzione uomini e donne e cosi facendo non solo libera le donne dalle schiavitù culturali-religiose di quel tempo, ma le accoglie alla sua sequela come discepole.
Come abbiamo già accennato, scorrendo le pagine dei vangeli, passano davanti ai nostri occhi un gran numero di figure femminili di diversa età e di diverso stato: donne colpite da malattia o da sofferenze fisiche come la suocera di Simone (Mc 1,30) o la donna affetta da emorragia (Mc 5, 25-34) che non poteva toccare nessuno perché si riteneva che il suo tocco rendesse l’uomo impuro. C’è poi la figlia di Giairo, che Gesù fa tornare in vita, rivolgendosi a lei con tenerezza: «Fanciulla, io ti dico, alzati!» (Mc 5, 41).
E ancora c’è la vedova di Nain, alla quale Gesù fa ritornare in vita l’unico figlio, accompagnando il suo gesto con un’espressione di affettuosa pietà: «Ne ebbe compassione e le disse: “Non piangere!”» (Lc 7, 13).
Spesso le donne che incontravano Gesù erano da Lui talmente trasformate che iniziavano ad accompagnarlo mentre insieme con gli apostoli attraversava le regioni della Palestina per annunciare il regno di Dio, esse diventavano discepole a tutti gli effetti!
Spesso figure di donne compaiono nelle parabole con le quali Gesù istruiva i suoi interlocutori. Così è nelle parabole della dramma perduta (cf. Lc 15, 8-10), del lievito (cf. Mt 13, 33), delle vergini sagge e delle vergini stolte (cf. Mt 25, 1-13).
Particolarmente eloquente è il racconto dell’obolo della vedova. Mentre «i ricchi (…) gettavano le loro offerte nel tesoro (…), una vedova povera vi gettò due spiccioli». Allora Gesù disse: «Questa vedova, povera, ha messo più di tutti (…), nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere» (Lc 21, 1-4).
In questo modo Gesù la presenta come modello per tutti e la difende, poiché, nel sistema socio-giuridico di allora, le vedove erano esseri totalmente indifesi. Non possiamo poi dimenticare il profondo legame di amicizia che Gesù ha con due figure femminili di rilievo, Marta e Maria.
In tutto l’insegnamento di Gesù, come anche nel suo comportamento, nulla si incontra che rifletta la discriminazione, propria del suo tempo, riguardo alla donna. Al contrario, le sue parole e le sue opere esprimono sempre il rispetto e l’onore dovuto alla donna.
Questo modo di parlare delle donne e alle donne, nonché il modo di trattarle, costituisce una chiara «novità» rispetto al costume allora dominante. Questa particolare attenzione di Gesù nei confronti delle donne emerge con forza in riferimento al mistero pasquale, non solo le donne rimangono fedeli al Maestro seguendolo verso la croce, ma ad esse viene affidato l’annuncio della Risurrezione. Tutti i racconti evangelici, infatti, concordano su questo dettaglio altamente significativo, furono le donne a essere le prime testimoni della Resurrezione.
Ed è giusto che sia così perché a differenza degli apostoli, le donne non lo abbandonarono nelle ore più difficili della sua vita. È un privilegio il loro che nasce dalla loro affidabilità nelle relazioni.
Possiamo quindi affermare, in un certo senso, che il primo “femminista” della storia è stato proprio Gesù di Nazareth, egli non solo parlava anche alle donne, le guariva, dialogava con loro, esse lo seguivano come discepole, ma ha addirittura affidato loro, proprio alle donne che non avevano nessun ruolo civile nella società, la cui testimonianza non aveva alcun valore, l’annuncio più importante della storia dell’umanità, quello della Risurrezione.
Come dicevamo gli evangelisti concordano sul fatto che furono le donne le destinatarie dell’annuncio pasquale, non concordano però sul numero e sui nomi di queste donne: in Matteo vanno al sepolcro Maria di Magdala e l’altra Maria, in Marco Maria di Madgala, Maria di Giacomo e Salome; secondo Luca, al sepolcro si recarono Maria di Magdala, Giovanna e Maria Madre di Giacomo. Per Giovanni, solo Maria di Magdala. Il dato che subito emerge, al di là delle differenze, è che tutti gli evangelisti concordano sulla presenza di Maria di Magdala, ed è proprio sulla sua figura ci soffermeremo nella seconda parte analizzando il racconto dell’evangelista Giovanni 20,1-18.
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Teologa, studiosa di ebraismo e appassionata di astronomia. Impegnata da anni nel dialogo Interreligioso, docente di religione e docente di ebraico ed esegesi dell’A.T. presso ISSR San Matteo (SA).