La riflessione sulla dignità umana assume in questi tempi un valore cruciale sia da un punto di vista antropologico che filosofico/teologico, ma anche – se non soprattutto – sociale e, di conseguenza, politico.
Di qui l’esigenza del Dicastero per la Dottrina della Fede di soffermarsi a riflettere, in maniera organica, sui termini stessi della questione per evitare che il fragore ideologico stravolgano lo stesso senso delle parole, alterando il linguaggio e la stessa comprensione dell’umano.
I termini della questione
La Dichiarazione Dignitas infinita ha il merito di chiarire da subito la correttezza di approccio che si deve alla questione:
«una dignità infinita, inalienabilmente fondata nel suo stesso essere, spetta a ciascuna persona umana, al di là di ogni circostanza e in qualunque stato o situazione si trovi» (n. 1).
Fa da sponda alla riflessione teologica anche la Magna Charta “laica”, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, pubblicata il 10 dicembre 1948) da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ma che sempre più spesso, nei tempi recenti, rischia di essere stravolta per una lettura relativistica fortemente condizionata dagli approcci ideologici. Proprio quello che la Dichiarazione Universale, nata come risposta ai totalitarismi del ‘900, mirava a scongiurare.
La Chiesa ha tutto il diritto e il dovere di dire la sua, anche se la sua voce è “scomoda”, “non facile”, sempre più spesso osteggiata e rifiutata. La “colpa” è quella di preservare lo stesso linguaggio, baluardo di senso a quegli strappi ideologici che pure i romanzi distopici di Orwell e Huxley avevano avuto il merito di prevedere, tentando di offrire all’umanità degli anticorpi filosofici a quegli stessi virus che periodicamente si riaffacciano.
La Dichiarazione sottolinea che
«sebbene ora esista un consenso piuttosto generale sull’importanza ed anche sulla portata normativa della dignità e del valore unico e trascendente di ogni essere umano, l’espressione “dignità della persona umana” rischia sovente di prestarsi a molti significati e dunque a possibili equivoci e “contraddizioni che inducono a chiederci se davvero l’eguale dignità di tutti gli esseri umani […] sia riconosciuta, rispettata, protetta e promossa in ogni circostanza”».
Esiste una dignità “ontologica”? Esiste una dignità “morale”? Non sono forse questi dei presupposti irrinunciabili per la stessa dignità “sociale” ed “esistenziale”?
Naturalmente la Dichiarazione si sofferma anche sui presupposti culturali e biblici, come spunto di riflessione a un mondo che crede di poter essere arbitro del proprio futuro sradicandosi dal proprio passato.
Di qui l’importanza di recuperare anche l’orizzonte in cui il termine è stato usato nella Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1948, «ove si parla “della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili”. Solo questo carattere inalienabile della dignità umana consente di poter parlare dei diritti dell’uomo» (n. 14).
La dignità umana oltre ogni relativismo
Il cuore dell’intero documento lo troviamo probabilmente nell’affermazione presente al n.15; un passaggio di straordinaria lucidità che sintetizza al meglio l’essenza stessa della dimensione antropologica, al riparo da qualsivoglia relativizzazione filosofica, sociologica o ideologica:
«per chiarire meglio il concetto di dignità, è importante segnalare che la dignità non viene concessa alla persona da altri esseri umani, a partire da determinate sue doti e qualità, in modo che potrebbe essere eventualmente ritirata. Se la dignità fosse concessa alla persona da altri esseri umani, allora essa si darebbe in modo condizionato e alienabile, e lo stesso significato di dignità (per quanto meritevole di grande rispetto) rimarrebbe esposto al rischio di essere abolito. In realtà, la dignità è intrinseca alla persona, non conferita a posteriori, previa ad ogni riconoscimento e non può essere perduta. Di conseguenza, tutti gli esseri umani possiedono la medesima ed intrinseca dignità, indipendentemente dal fatto che siano in grado o meno di esprimerla adeguatamente».
Nei primi tre capitoli la Dichiarazione sviluppa la riflessione teologica, non mancando di assestare qualche stoccata alla mentalità secolarista, soprattutto per quanto concerne la natura stessa delle libertà umana:
«la libertà è un dono meraviglioso di Dio. Anche quando ci attira con la sua grazia, Dio lo fa in modo tale che mai la nostra libertà sia violata. Sarebbe pertanto un grave errore pensare che, lontani da Dio e dal suo aiuto, possiamo essere più liberi e di conseguenza sentirci più degni. Sganciata dal suo Creatore, la nostra libertà non potrà che indebolirsi e oscurarsi. Lo stesso succede se la libertà si immagina come indipendente da ogni riferimento che non sia se stessa e avverte ogni rapporto con una verità precedente come una minaccia. Di conseguenza, anche il rispetto della libertà e della dignità degli altri verrà meno» (n. 30).
Discernere il bene nelle situazioni concrete
Nel quarto capitolo la Dichiarazione entra nel concreto di alcune situazioni “emergenziali”, da leggere, affrontare, interpretare alla luce dei presupposti ampiamente sviluppati nella prima parte del documento.
Si affronta quindi il tema della povertà «legata all’ineguale distribuzione della ricchezza» (n. 36), quello della guerra (n. 38), il conseguente dramma dei migranti (n. 40) e la tratta delle persone umane (n. 41). Si passa poi agli abusi sessuali (n. 43), alla violenza contro le donne (n. 44-45) e al femminicidio (n. 46), tutti temi su cui è cresciuta negli anni la sensibilità generale.
Si apre poi la riflessione su quei temi “rifiutati” che pure coinvolgono la pienezza della dignità di ogni essere umano, a partire dall’aborto rispetto al quale
«la Chiesa non cessa di ricordare che la dignità di ogni essere umano ha un carattere intrinseco e vale dal momento del suo concepimento fino alla sua morte naturale. Proprio l’affermazione di una tale dignità è il presupposto irrinunciabile per la tutela di un’esistenza personale e sociale, e anche la condizione necessaria perché la fraternità e l’amicizia sociale possano realizzarsi tra tutti i popoli della terra» (n. 47).
Parole di verità anche sulla maternità surrogata «attraverso la quale il bambino, immensamente degno, diventa un mero oggetto» (n. 48).
È necessario chiarire, al di là delle narrazioni che focalizzano l’attenzione dell’opinione pubblica su prospettive di lettura legittime, emotivamente condivisibili, ma forzosamente “parziali”, che:
«la pratica della maternità surrogata viola, innanzitutto, la dignità del bambino. Ogni bambino, infatti, dal momento del concepimento, della nascita e poi nella crescita come ragazzo o ragazza, diventando adulto, possiede infatti una dignità intangibile che si esprime chiaramente, benché in modo singolare e differenziato, in ogni fase della sua vita. Il bambino ha perciò il diritto, in virtù della sua inalienabile dignità, di avere un’origine pienamente umana e non artificialmente indotta, e di ricevere il dono di una vita che manifesti, nello stesso tempo, la dignità di chi dona e di chi riceve» (n. 48).
Altro aspetto trascurato, soprattutto da parte del main stream è che:
«la pratica della maternità surrogata viola, nel medesimo tempo, la dignità della donna stessa che ad essa è costretta o decide liberamente di assoggettarvisi. Con tale pratica, la donna si distacca del figlio che cresce in lei e diventa un semplice mezzo asservito al guadagno o al desiderio arbitrario di altri. Questo contrasta in ogni modo con la dignità fondamentale di ogni essere umano e il suo diritto di venire sempre riconosciuto per se stesso e mai come strumento per altro» (n. 50).
Parole nette anche rispetto alla deriva eutanasica dove la Chiesa non rinuncia ad essere una voce fuori dal coro:
«È assai diffusa l’idea che l’eutanasia o il suicidio assistito siano coerenti con il rispetto della dignità della persona umana. Davanti a questo fatto, si deve ribadire con forza che la sofferenza non fa perdere al malato quella dignità che gli è propria in modo intrinseco e inalienabile, ma può diventare occasione per rinsaldare i vincoli di una mutua appartenenza e per prendere maggiore coscienza della preziosità di ogni persona per l’umanità intera» (n.51).
Riscoprire la cultura della cura in senso ampio, tenendo conto che «la dignità del malato in condizioni critiche o terminali chiede a tutti sforzi adeguati e necessari per alleviare la sua sofferenza tramite opportune cure palliative ed evitando ogni accanimento terapeutico o intervento sproporzionato» (n.52).
Ogni persona è un capolavoro
Altro tema che coinvolge la dignità della persona umana è quello che riguarda la disabilità che va al di là del politically correct:
«la questione dell’imperfezione umana comporta chiari risvolti anche dal punto di vista socio-culturale, dal momento che, in alcune culture, le persone con disabilità talvolta subiscono l’emarginazione, se non l’oppressione, essendo trattate come veri e propri “scarti”. In realtà, ogni essere umano, qualunque sia la condizione di vulnerabilità in cui viene a trovarsi, riceve la sua dignità per il fatto stesso che è voluto e amato da Dio. Per tali motivi, è da favorire il più possibile una inclusione ed una partecipazione attiva alla vita sociale ed ecclesiale di tutti coloro che sono in qualche modo segnati da fragilità o disabilità» (n. 53).
Quanto agli altri temi caldi del dibattito attuale, pur ribadendo che «che ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare “ogni marchio di ingiusta discriminazione” e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza» (n. 55), la Dichiarazione non manca di sottolineare la pericolosità della teoria del gender, non soltanto per la carenza dei presupposti scientifici (n. 57) ma soprattutto perché «è che essa vuole negare la più grande possibile tra le differenze esistenti tra gli esseri viventi: quella sessuale» (n. 58).
Diventa così inaccettabile che «alcune ideologie di questo tipo, che pretendono di rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili, cerchino di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini. Non si deve ignorare che sesso biologico (sex) e ruolo sociale-culturale del sesso (gender), si possono distinguere, ma non separare» (n. 59), favorendo anche una banalizzazione dello stesso cambio di sesso, nella cultura modernista sempre più sganciato dalle legittime esigenze legate ad anomalie genitali (n. 60).
Gli scenari di frontiera
Ultima riflessione è poi riservata ai rischi delle realtà virtuali, dalle fake news al dark web, dal cyberbullismo alla pornografia al gioco d’azzardo: «se la tecnologia deve servire la dignità umana e non danneggiarla e se deve promuovere la pace piuttosto che la violenza, la comunità umana deve essere proattiva nell’affrontare queste tendenze nel rispetto della dignità umana e promuovere il bene» (n. 62).
La Dichiarazione illustra, riflette, argomenta. Mostra come l’antropologia cristiana sia profondamente ancorata a una prospettiva di lettura della realtà che non rifiuta la complessità ma la assume; che non cerca scappatoie semplicistiche tipiche del populismo ideologico ma ha il coraggio di mettere realmente al centro la dignità della persona «al di là di ogni circostanza».
Al di là di ogni circostanza, al di là di ogni logica ideologica o funzionalistica.
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Nel corso degli anni ha fatto suo il motto paolino «guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1Cor 9, 16). È avvocato, giornalista pubblicista, docente e catechista. Specializzato in teologia fondamentale presso la PFTIM - Sezione “San Luigi” con una tesi sulla fede popolare, ha approfondito nei suoi studi il magistero post-conciliare e in particolare quello di Papa Francesco. È direttore organizzativo del Festival della Teologia “Incontri”.