L’acqua, oltre che elemento naturale fondamentale, rappresenta uno dei simboli vitali comuni a tutte le religioni. La Bibbia, il grande codice della cultura occidentale (come affermava Frey), non fa eccezione e può essere raccontata come una storia dell’acqua, l’acqua infatti è uno dei suoi più grandi e importanti simboli.

Essa infatti si apre con Gn 1 e si chiude con Ap 22 sullo sfondo di visioni in cui l’acqua è un elemento assolutamente dominante. In Gn 1 il Ruah Elohim, lo Spirito di Dio, aleggia sulle acque primordiali prima della creazione, in Ap 22 la Bibbia si conclude con la grande visione del fiume di acqua viva che scaturisce dal trono di Dio e dell’Agnello, in un certo senso l’acqua costituisce l’alfa e l’omega del testo biblico.

Il simbolismo dell’acqua

La Bibbia, però, riguardo l’acqua, anche nella sua valenza simbolica, mantiene sempre un approccio ambivalente:

  • essa è segno di vita e fecondità quando è acqua sorgiva;
  • è segno di morte e di caos quando la si ritrova in ampie distese come nel mare, nell’abisso.

Ma cerchiamo ora di procedere per gradi: nella Sacra Scrittura l’acqua richiama tutta una costellazione di voci: dalla meteorologia (pioggia, neve, grandine, nebbia, rugiada) alla geografia (fiumi, abisso, mari), dalla ricerca di essa attraverso pozzi, cisterne, torrenti, sorgenti, fino ad arrivare a tutta quella serie di verbi che hanno a che fare con essa: bere, abbeverare, lavare, purificare.

Il tema, quindi, in tutte le sue sfaccettature tocca oltre 1500 versetti dell’Antico Testamento che sono intrisi di acqua, per così dire. Come dice Ravasi:

un filo di acqua scorre idealmente attraverso le pagine della Scrittura, testimoniando una sete ancestrale legata a coordinate geografiche segnate dall’aridità.

Il valore che l’acqua assume nella cultura biblica è fortemente legato alla vita nomade mediorientale: l’uomo biblico sa bene quanto preziosa sia l’acqua e quanto la sua mancanza possa essere causa di disperazione e di  morte.

Per  questo  molte narrazioni ne sottolineano l’importanza e diversi interventi miracolosi da parte di Dio riguardano il suo dono prezioso in momenti drammatici e particolarmente difficili:

  • pensiamo alla sorgente che salva Hagar e Ismaele dalla morte (Gn 21, 14-21);
  • ai miracoli dell’acqua che attraversano il libro dell’Esodo, cominciando dal grandioso attraversamento del Mar Rosso;
  • ancora l’acqua che diventa dolce per opera di Mosè permettendo al popolo di dissetarsi (Es 15, 25-27);
  • l’acqua che scaturisce dalla roccia per opera di Mosè presso Massa e Meriba (Es 17,6;.

Majim

 Il sostantivo ebraico che indica l’acqua è “majim” termine ampiamente diffuso nell’ambito linguistico semitico. Nella sua forma ebraica esso si presenta come un duale e compare circa 580 volte nell’AT indicando l’acqua in un ampio quadro di riferimenti: cosmici, rituali e profani.

Le ricorrenze più importanti di majim si hanno proprio nel Pentateuco, i primi cinque libri della Bibbia, con oltre 200 richiami concentrati particolarmente in Gn 7-9 (il diluvio), Es 14 (il passaggio attraverso il Mar Rosso), Lv 11 (norme sugli animali puri e sugli animali impuri) e Nm 19 (con il rituale dell’acqua di purificazione).

Molte ricorrenze del termine si hanno poi in Salmi e in alcuni testi profetici come quelli di Ezechiele, Geremia ed Isaia.

In Mesopotamia, l’acqua una potenza primigenia

In Mesopotamia, fin dalle età più remote, si vide nell’acqua una potenza primigenia munita di volontà ed intelligenza, essa fu considerata un elemento primordiale della creazione e della nascita della vita: la sua presenza portava vita e fertilità, la sua mancanza morte e distruzione.

Associata con tempeste e temporali ben presto le furono attribuite natura e potenza divine, così la si ritenne non solo un elemento presente nella creazione, bensì una potenza cosmica divinizzata.

In tutti i racconti cosmogonici del Medio Oriente antico si attribuiva all’acqua una grande importanza, inoltre la teogonia mesopotamica faceva nascere gli dei da una miscelazione dell’acqua dolce e dell’acqua salata identificate con due distinte divinità: Tiamat, dea degli oceani e delle acque salate, raffigurata generalmente come un serpente marino o un drago, era il simbolo e l’incarnazione del caos primordiale, e Apsu, dio delle acque dolci.

Molto interessante è notare che all’interno del testo biblico “majim” descrive l’elemento acqua sia nei mari che nei fiumi, nelle fonti e nei pozzi, questo perché l’A.T. non presenta alcuna chiara distinzione tra l’acqua salata del mare e quella dolce delle acque interne.

Questo aspetto sta in singolare contrasto con la chiara distinzione tra i due tipi di acqua rilevata nella mitologia mesopotamica. Anche nel racconto della creazione biblico l’elemento acqua è centrale già dai primi versetti del primo capitolo: “lo Spirito di Dio planava, aleggiava sulle acque” recita Genesi 1,2.

Tehom

Il racconto sacerdotale della creazione attribuisce all’acqua un ruolo importantissimo, l’acqua anche qui è una delle sostanze primordiali, essa non viene creata da Dio ma è già presente sotto forma di un abisso caotico e minaccioso che il testo biblico chiama Tehom.

Molti studiosi hanno visto in questo elemento un chiaro richiamo alla dea babilonese Tiamat, anche e soprattutto da un punto di vista etimologico, certamente va sottolineato che qui ci troviamo in presenza di un elemento totalmente demitizzato.

 Il tehom biblico continua certo a mostrare i tratti di una potenza cosmica che sicuramente può essere pericolosa e minacciosa per l’ordine della creazione, ma non è più identificata con una divinità e certamente non può sopraffare la potenza di Dio.

Dio ha infatti mostrato concretamente il suo potere sulle acque primordiali, è Lui che le ha arginate, Lui che le ha separate tra acque che stanno al di sopra e acque che stanno al di sotto del firmamento, è Lui che le ha raccolte nei mari per far emergere l’asciutto e ha ordinato a queste acque di essere brulicanti di pesci e di vita.

E’ proprio il raccoglimento e la separazione di queste acque un elemento fondamentale della cosmogonia israelitica. Proprio per quanto riguarda la separazione tra le acque di sopra e le acque di sotto è interessante soffermarci un attimo sulla concezione cosmologica dell’uomo biblico: secondo la credenza comune il cielo altro non era che una massa di acque trattenute in alto dal firmamento immaginato come una calotta rigida munita di cataratte che, aperte opportunamente, generavano le piogge.

In Ebraico infatti il termine per indicare i cieli è Shamajim, composto dalla particella Sham (là) e majim (acque). Anche questo termine, così come majim, è duale e indica le “acque che stanno là”, al di sopra.

Il diluvio universale

L’acqua è anche la grande protagonista della storia del diluvio universale che l’autore biblico rielabora a partire dai racconti dell’epica babilonese di Gilgamesh. Qui, in un certo senso, vi è un ritorno al caos primordiale, prima che Dio separasse e mettesse ordine nel cosmo.

L’irruzione del diluvio viene presentata come l’uscita violenta e improvvisa delle acque abissali (Gn 7,11) e una forte pioggia torrenziale, le acque ritornano ad assumere una connotazione minacciosa e di morte che porterà all’estinzione di tutti gli esseri umani eccetto di Noè e di tutti quelli che erano con lui nell’arca.

Quelle acque raccolte da Dio sopra e sotto il firmamento e nei mari e nei fiumi per far emergere l’asciutto tornano a riversarsi sulla terra, per volontà di Dio, sconvolgendo l’ordine che era stato impresso nella creazione. Sarà Dio a ritirare nuovamente le acque, a far riemergere la terra permettendo alla vita di rinascere, a stringere con Noè la prima alleanza con l’umanità il cui segno è l’arco sulle nubi, l’arcobaleno.

Anche il popolo di Israele, in un certo senso, nasce tra le acque di un fiume, lo Yabbok, dove nella notte avvenne il combattimento tra Giacobbe e una figura misteriosa, che spesso sarà identificata con Dio stesso (Gn 32), in quella notte Giacobbe venne ferito al nervo sciatico e rimase zoppo prima di essere benedetto in questo combattimento acquatico che permetterà a Giacobbe stesso di diventare Israele (forte con Dio), nome di un popolo intero, quello scelto da Dio!

Il mar Rosso

Il più grande evento della storia ebraica, l’attraversamento del Mar Rosso, mostra un potente intervento divino sulle grandi acque, le majim rabbim, del mare. Questo racconto molto probabilmente ricalca dei miti mesopotamici che descrivevano la lotta degli dei con le forze distruttrice e tenebrose del mare, e anche qui le acque assumono un aspetto ambivalente: rappresentano la salvezza per gli israeliti e la morte per l’esercito del faraone.

Echi dell’identificazione delle acque del mare con le forze caotiche si riscontrano nella Bibbia anche nella figura del Leviatano, un mostro marino, una creatura acquatica dalla forza spaventosa. Il Leviatano è menzionato più volte nell’A.T., in particolare nel libro di Giobbe al cap.41, è proprio qui che troviamo la maggiore quantità di informazioni e una descrizione dettagliata di questo mostro marino. Tuttavia, in tutti questi passi biblici (Isaia, salmi e Giobbe) il Leviatano è sempre presentato come una creatura di Dio, ad esempio il salmo 104 loda il Creatore per avere fatto il mare grande e spazioso e in esso, per divertirsi e giocare, il Leviatano.

Ezechiele e il fiume

Una delle più belle pagine sull’acqua che troviamo nell’ A.T. è quella donataci dal profeta Ezechiele al capitolo 47 del suo libro (Ez 47,1-12). Dal tempio il profeta vede sgorgare acqua verso oriente, acqua che scaturisce dal lato destro. L’acqua cresce in diretta mentre Ezechiele la osserva stupito e forse anche un po’ spaventato, su invito di un uomo, un angelo, attraversa l’acqua più volte, prima arriva alla caviglia, poi alle ginocchia, poi ai fianchi, poi addirittura diventa un torrente talmente grande che è impossibile attraversarlo a guado.

Quasi abbiamo anche noi la sensazione di essere con Ezechiele in questo fiume in piena e sentiamo l’acqua crescere inesorabilmente. Ezechiele è al centro di questo fiume con un uomo, ma i due non lottano come Giacobbe e la figura misteriosa nello Yabbok, qui non ci sono colpi al nervo sciatico, ma solo la benedizione di un messaggio eterno. Queste acque che scorrono al di fuori del Tempio portano vita lì dove vi era aridità, grandi alberi verdeggianti spuntano dove prima era solo deserto, alberi le cui foglie non appassiranno e i cui frutti non cesseranno.

Da un punto di vista metaforico quest’acqua è lo Spirito di Dio, Ezechiele che era un sacerdote di Gerusalemme pensava che la gloria di Dio abitasse solo il Tempio, l’Ezechiele profeta comprende che lo Spirito di Dio non può essere confinato nel Tempio ma deve estendersi all’esterno per portare vita. L’ immagine del fiume che sgorga sarà ripresa poi da Giovanni di Patmos nell’ultima grande visione della Bibbia, quella di Ap 22.

L’acqua purificatrice

Infine vorrei sottolineare con voi l’importanza dell’acqua, nel testo biblico, come fondamentale elemento di purificazione. L’acqua infatti era l’elemento centrale utilizzato durante le abluzioni rituali, tramandate soprattutto nella tradizione levitica.

La tradizione ebraica riconosce all’acqua sorgiva o piovana una capacità rigenerativa che segna il passaggio da uno stato all’altro: quando ci si trova in particolari situazioni come il termine dell’emorragia mestruale o da parto, o quando si lascia il celibato per il matrimonio, o quando comunque si vuole sottolineare un cambiamento, ci si immerge nel miqweh, il bagno rituale che deve essere alimentato da una percentuale di acqua sorgiva o piovana; l’immersione deve essere completa trattenendo il fiato, quindi sospendendo per un attimo il respiro vitale.

Tale gesto assume pertanto il significato di rigenerazione e rinascita all’interno di quell’elemento naturale che collega terra e Cielo richiamando il liquido amniotico materno, lo stesso elemento sul quale all’origine della creazione si librava lo Spirito di Dio.

L’acqua, una benedizione

Al termine di questo breve percorso vorrei lasciarvi con una piccola curiosità che potrebbe far nascere in noi varie suggestioni anche su tematiche più attuali: nella lingua ebraica la parola “benedizione” è tradotta con il termine “berakhah”, se vocalizziamo diversamente le consonanti che compongono questa parola noi avremo “berekhah” che in ebraico indica un bacino d’acqua, una cisterna…questo sottolinea il legame tra l’acqua e l’azione benedicente di Dio. L’acqua quindi è una benedizione, ma noi siamo certi di utilizzare questo elemento nel giusto modo?


Evento collegato

Questo articolo è tratto dall’intervento tenuto dalla nostra autrice nell’ambito del convegno “L’ACQUA DENTRO DI NOI FILOSOFIA, TEOLOGIA E PSICOLOGIA DELL’ACQUA.” -moderato dal nostro Vito Rizzo- tenutosi a Pertosa (SA) l’8 giugno 2024 nell’evento Stillafest


Loguercio Maria Velia
mariavelialoguercio84@gmail.com | + posts

Teologa, studiosa di ebraismo e appassionata di astronomia. Impegnata da anni nel dialogo Interreligioso, docente di religione e docente di ebraico ed esegesi dell’A.T. presso ISSR San Matteo (SA).

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