Nella Chiesa cristiana si parla di “Avvento” e “Annuncio del Natale”. Sinteticamente, chi partecipa della Chiesa sa che si tratta della “Venuta” (continua) di Gesù, iniziata con la “Bella Notizia/Annuncio” (“Evangelo”) della sua nascita in mezzo a noi.
Una delle frasi centrali del Vangelo per questo tempo è quella dell’evangelista Giovanni «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14), parole che risuoneranno in tutte le chiese del mondo proprio nel giorno di Natale.
Meno presente all’attenzione della maggior parte dei cristiani, è che ogni Natale è una “Pasqua”, così come ogni S. Messa celebrata, e che i racconti evangelici e canonici degli inizi della vita di Gesù (i cosiddetti “Vangeli dell’infanzia di Gesù) sono scritti a partire dal suo compimento, cioè alla luce della Pasqua, degli ultimi momenti della sua vita terrena. È il motivo per il quale in tutte le chiese del mondo nel giorno dell’Epifania si annuncia la data della Pasqua.
Ecco, appunto: si tratta di un “Annuncio”, di parole che raccontano. Tutta la vicenda cristiana si basa su “parole” che raccontano un evento, un avvenimento che è l’Avvento di Gesù, nato, crocifisso e risorto. Un “annuncio/bella notizia” che è semplicemente “voce” e proprio per questo alquanto fragile, fraintendibile.
E non può essere che così, perché è parola di chi non si vuole imporre, che dall’inizio ha voluto venire in punta di piedi, corrispondente al cuore del Dio che viene raccontato. È il cuore di un Dio amante che non si impone, ma si propone invocando una fiducia, un’adesione come accade per ogni amicizia che sia autentica e unicamente interessata al bene dell’altro.
Nonostante nella sua storia la Chiesa cristiana abbia costruito una struttura che ha spesso rischiato di andare in senso contrario e che ancora paga le conseguenze di tante, forse inevitabili e necessarie, derive, nel suo principio e fondamento ha la missione di “dare voce” a questo “annuncio”. La sua missione è quella di dirlo a tutti, e ogni Messa è per tutti, così come ogni Natale.
A tutti è destinata una voce fragile, fraintendibile, che, come di tutte le parole, se ne può fare quello che si vuole. È ciò che avviene in qualunque dialogo umano. Infatti, si usa dire “parole al vento”, che “entrano in un orecchio ed escono dall’altro” e che “si capiscono fischi per fiaschi” … Tutti facciamo esperienza della fatica e della precarietà della comunicazione, che spesso è più una dis-comunicazione.
Parole care
Tutto cambia quando la “voce” di chi ti parla ti comincia a essere cara e il suono delle parole che pronuncia merita un’attenzione diversa, tanto che quelle parole cominciano a essere custodite, cominciano a interpellare, interrogare e insieme fare emozionare, fino a far gioire, se non cantare e così vengono sempre più fissate, ripetute e poi meritano una risposta e aprono al desiderio di sentirle ancora e di sentirne altre.
Questa dovrebbe e vorrebbe essere la speranza dell’annuncio cristiano. È quando le parole pronunciate sono veramente sentite come una “Bella Notizia”, come un “Evangelo”, come parole care che toccano il vissuto di una persona, tanto da avere la forza di cambiarlo: usando il lessico evangelico “sono parole che, si ‘incarnano’, toccano la ‘carne’”.
La persona che fa questa esperienza comincia a vivere l’avventura di una scoperta che continuamente stupisce, ferisce e porta gioia. È quella che propriamente chiamiamo “conversione”. Quando accade viene voglia di raccontarla, perché nella sua essenza è “apertura agli altri” e “a tutti” («Fratelli tutti»). Un racconto a tutti, non perché tutti “vengano a Messa”, ma perché non smetta di risuonare nel mondo una bellezza che è segno di speranza, pur sempre fragile e fraintendibile.
Chi fa questa esperienza vive la stessa domanda che ha caratterizzato dall’inizio le donne e gli uomini che hanno trovato caro il racconto di Gesù e il suo Vangelo. Come mettere in parole questo vissuto? Come dirlo a tutti? Questa domanda ha interrogato Paolo, ha interrogato gli evangelisti e le prime comunità.
Si è creato un patrimonio di “Scritture” che, insieme a quelle antiche di Israele, sono custodite e tramandate con cura, nella ricerca costante di comprendere il loro senso per il vissuto attuale, il valore di sempre, per ogni cultura, oltre le contingenze culturali e sociali nelle quali sono state scritte. Così l’annuncio attuale cerca le parole adeguate, i modi per potersi dire e per collaborare con lo Spirito Santo che cerca il cuore di ciascuno. Anche Teologhiamo si muove in questo senso.
Dentro questo affascinante “sforzo” ci è sempre più chiaro che abbiamo bisogno di un lessico diverso, che comunichi e che incontri. Le donne e gli uomini di oggi cosa sentono quanto odono il suono di alcune parole che nella chiesa paiono essere perspicue? La stessa parola “annuncio” a cosa fa pensare?
Forse, i più l’associano alla pubblicità… Posto che sia una delle questioni fondamentali di qualsiasi forma comunicativa, pare ancora più evidente nel cosiddetto linguaggio ecclesiale e per molti termini desunti dalla Bibbia. La questione è certamente complessa, ma ormai da più parti ci si accorge che c’è un “parlare ecclesiale” che non incontra.
Grazie a Dio, lo Spirito Santo fa il suo lavoro, ma senza la ricerca nella Chiesa di un linguaggio che comunichi, non gli si fa un buon servizio. La fatica nella quale ci si affaccenda avrebbe bisogno di muoversi in altra direzione. Ancora a partire dal Vaticano II, si tratta innanzitutto di stare in ascolto del mondo, senza giudizio, imparare un’altra lingua e saper offrire un tesoro (il Vangelo) verso il quale tutti, pur inconsapevolmente, anelano.
Un Vangelo che primariamente i cristiani sono chiamati a conoscere e capire diversamente, insieme alla ricerca faticosa di un lessico e di un linguaggio che fa parte dei gesti d’attenzione e d’amore per le “genti”. Una passione che già in sé comincerà a rendere “care” quelle “nuove parole”, quel modo diverso di parlare.
Sarà così che nei tanti modi di intendere il Natale che corrono nel mondo, ci sarà la possibilità di avvertire la forza vitale delle parole che raccontano “il Verbo che si è fatto carne”. Parole vicine, parole care, parole che danno vita, come l’acqua, come la luce.
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Ordinato presbitero a Milano il 10/06/1995. Licenziato in Teologia Biblica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli, sezione S. Luigi. Attualmente collabora con
l’Apostolato Biblico della Diocesi di Milano ed è vicario parrocchiale in S.Barnaba – Milano, all’interno della “Comunità Pastorale della Visitazione”.