In Europa si riaccendono sentimenti di antisemitismo
Qualche giorno fa, mentre sfogliavo un po’ distratta i quotidiani on line, il mio sguardo è caduto su una notizia che mi ha lasciato indignata: uno studio dell’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali, con sede a Vienna, che tiene conto di statistiche ufficiali e prove raccolte da varie organizzazioni civili, ha messo in luce che la pandemia da Covid 19, che ha travolto il mondo negli ultimi due anni, ha generato un riaccendersi di sentimenti antisemiti creando nuovi miti e pericolosissime teorie del complotto che vedono negli ebrei i corresponsabili dell’attuale crisi sanitaria.
[ qui puoi scaricare “La strategia dell’UE sulla lotta contro l’antisemitismo e il sostegno alla vita ebraica (2021-2030)”]
Purtroppo sono proprio i social i nuovi luoghi in cui queste assurde e pericolosissime teorie trovano sfogo e nuovi adepti.
Questa notizia mi ha fatto riflettere e dovrebbe far riflettere ciascuno di noi, infatti ciò che erroneamente si pensa rilegato ad un passato neppure troppo lontano in realtà non è sparito, purtroppo l’antisemitismo è ancora vivo ed è come una brace che continua ad ardere sotto la cenere.
Si moltiplicano infatti in moltissimi paesi europei episodi di antisemitismo, in Olanda, Belgio, Germania, Italia, aggressioni a persone di origine ebraica, profanazione di cimiteri ebraici, immagini di svastiche disegnate sui muri delle Sinagoghe….da un sondaggio fatto in Francia addirittura è emerso che il 37% degli ebrei ha paura di indossare la Kippah perché è un chiaro segno distintivo di appartenenza al popolo ebraico e potrebbe esporli ad episodi di violenza antisemita.
Purtroppo l’Europa è in balia di una nuova ondata di odio razziale fomentata da queste nuove forme di nazionalismi e da nascenti ideologie politiche di stampo neo fascista e neo nazista.
Il dialogo unico antidoto all’antisemitismo
Tutto ciò deve allarmarci e deve richiamare fortemente la nostra coscienza, l’unico antidoto che abbiamo contro il dilagare di queste nuove forme di odio è il dialogo, la conoscenza reciproca che deve essere sempre più profonda con l’altro da noi .
Soprattutto i formatori hanno una grande responsabilità nei confronti delle nuove generazioni, quella di aiutarli a formare dentro di se una coscienza volta alla fratellanza e al rispetto dell’altro.
Noi cristiani dobbiamo comprendere sempre di più che la religione con la quale abbiamo il più stretto legame è l’Ebraismo. Cristianesimo ed Ebraismo non possono essere separati.
Con il popolo ebraico condividiamo la fede nell’unico Dio, Creatore, Rivelatore e guida della storia. Le Sacre Scritture di Israele costituiscono una parte cospicua della nostra Bibbia, senza contare che le basi della nostra visione dell’uomo e del mondo affondano le proprie radici nella cultura Ebraica. Basti pensare a cosa la filosofia ebraica ha significato per lo sviluppo del concetto di Europa così come noi oggi lo conosciamo.
Quindi il Cristianesimo per comprendersi non può assolutamente prescindere dalla comprensione dell’Ebraismo. Nonostante tutte queste affinità, per più di diciannove secoli, il nostro rapporto con i nostri “fratelli maggiori” (come definì gli ebrei il grande papa Giovanni Paolo II) è stato avvelenato da rancori antichi ed incomprensioni (non dobbiamo dimenticare che per secoli abbiamo definito gli ebrei il popolo deicida, che per secoli nella liturgia del Venerdì Santo abbiamo pregato per i perfidi ebrei…).
Le prime associazioni di dialogo ebraico cristiano
La prospettiva comincia a mutare agli inizi del 1900. E’ infatti nel 1927, a Londra, che nasce la prima associazione di dialogo ebraico cristiano con lo scopo di “incrementare la comprensione religiosa e promuovere atteggiamenti di buona volontà e cooperazione tra ebrei e cristiani nel rispetto reciproco delle proprie differenze di fede e pratiche religiose e di combattere l’intolleranza religiosa”.
Negli anni successivi al 1927 si formarono altre associazioni di dialogo ebraico cristiano negli Stati Uniti, in Canada, in Irlanda. Il primo documento ufficiale nato dal dialogo ebraico cristiano sono stati i 10 punti di Seelisberg, redatto nell’agosto del 1947 in Svizzera, da un centinaio di delegati cristiani (provenienti di varie confessioni) e da ebrei provenienti da circa 20 Paesi diversi.
Questi dieci punti, una specie di 10 comandamenti del dialogo, erano ispirati al pensiero dello storico francese Jules Isaac, grandissima personalità che nella Shoah aveva perso la moglie e la figlia, e che ha dedicato l’intera sua esistenza a ricercare una prospettiva di riappacificazione tra ebrei e cristiani, convinto che l’antigiudaismo teologico avesse preparato il terreno all’antisemitismo nazista.
A questo proposito mi pare opportuno un chiarimento terminologico perché spesso i due termini vengono utilizzati come sinonimi, in realtà c’è differenza tra antigiudaismo e antisemitismo e per capire la tesi di Jules Isaac dobbiamo chiarirla: antigiudaismo: odiare l’ebreo in quanto appartenente e osservante la religione ebraica. Antisemitismo: odiare l’ebreo in quanto ebreo, per quello che è, non per quello che crede. Riflettendo la posizione di Isaac non è sbagliata.
Ebraismo e cristianesimo: I 10 punti di Seelisberg
Ritornando ai 10 punti di Seelisberg mi sembra opportuno elencarli velocemente per l’influenza che essi ebbero sulla redazione della Nostra Aetate:
1) Ricordare che è lo stesso Dio vivente che parla a tutti nell’Antico come nel Nuovo testamento.
2) Ricordare che Gesù è nato da una madre ebrea della razza di Davide e del popolo di Israele e che il suo amore eterno e il suo perdono abbracciano il suo popolo e tutta l’umanità.
3) Ricordare che i primi discepoli, gli apostoli e i primi martiri erano ebrei.
4) Ricordare che il precetto fondamentale del Cristianesimo, quello dell’amore di Dio e del prossimo, già promulgato nell’Antico Testamento e confermato da Gesù, obbliga cristiani ed ebrei in tutte le relazioni umane senza alcuna eccezione.
5) Evitare di denigrare l’ebraismo biblico o post-biblico allo scopo di esaltare il Cristianesimo.
6) Evitare di usare la parola «ebrei» nel senso esclusivo di «nemici di Gesù» o l’espressione «nemici di Gesù» per designare il popolo ebraico tutto quanto.
7) Evitare di presentare la Passione in modo tale che quanto vi è di odioso per la condanna a morte di Gesù ricada su tutti gli ebrei o soltanto su di loro. Non sono stati infatti tutti gli ebrei che hanno reclamato la morte di Gesù. Non sono loro soltanto a essere responsabili, poiché la croce che ci salva tutti rivela che il Cristo è morto a causa dei peccati di noi tutti. Ricordare a tutti i genitori e a tutti gli educatori cristiani la grave responsabilità che si assumono presentando in modo semplicistica il Vangelo e in particolare il racconto della Passione. Così facendo rischiamo, lo vogliamo o no, d’ispirare dell’avversione nella coscienza o nel subcosciente dei loro figli o degli ascoltatori. Psicologicamente parlando, nelle anime semplici, pervase da un amore ardente e da una viva compassione per il Salvatore crocifisso, l’orrore che esse risentono, com’è naturale, per i persecutori di Gesù, si tramuterà facilmente in odio generalizzato per gli ebrei di tutti i tempi, compresi quelli del giorno d’oggi.
8) Evitare di riferire le maledizioni della Scrittura e il grido d’una folla inferocita: «il suo sangue ricada su di noi e suoi i nostri figli!» senza ricordare che questo grido non può aver il sopravvento sulla preghiera infinitamente più alta di Gesù: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».
9) Evitare di dar credito all’empia opinione secondo la quale il popolo ebraico è condannato, maledetto, riservato a un destino di sofferenze.
10) Evitare di parlare degli ebrei come se non fossero stati i primi ad appartenere alla Chiesa.
Sarà il Concilio Vaticano II a dare un grandissimo impulso al dialogo ebraico cristiano, la Chiesa del Concilio infatti esprimerà in maniera inequivocabile il suo desiderio di apertura nei confronti degli ebrei.
La dichiarazione conciliare Nostra Aetate
Nella dichiarazione conciliare Nostra Aetate, che tratta del rapporto del cristianesimo con le altre confessioni religiose, al numero 4 si afferma: “Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani ed ebrei , questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e STIMA che si ottiene soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo”.
A partire dalla promulgazione della NA la Chiesa non ha mai cessato di mettere in evidenza l’importanza della conoscenza sempre più profonda del giudaismo, conoscenza necessaria anche per la comprensione dei testi biblici. A tale proposito cito il documento della PCB del 1993, l’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, che afferma: “la ricchezza dell’erudizione giudaica messa a servizio della Bibbia dalle sue origini nell’antichità, fino ai nostri giorni, è un aiuto di primaria importanza per l’esegesi dei due Testamenti”.
È completamente sbagliato pensare di poter interpretare le Scritture svincolandole dal contesto culturale in cui esse presero forma, che è quello ebraico, la cui conoscenza è necessaria anche per la comprensione del Nuovo Testamento.
I semi piantati dal Concilio non hanno cessato di germogliare e di portare frutto negli anni successivi.
Basta pensare ad esempio all’istituzione, nel settembre del 1989, della Giornata del dialogo ebraico cristiano che si celebra il 17 gennaio di ogni anno ed è un importantissimo momento di confronto tra mondo cristiano e mondo ebraico.
Papa Wojtyla e la prima visita alla sinagoga di Roma
Pensiamo ancora all’operato di Giovanni Paolo II che per primo si recò a pregare al muro del pianto, per primo in visita ad Auschwitz, per primo in visita alla sinagoga di Roma 35 anni fa.
Questo fu senza dubbio un evento epocale che cambio per sempre i rapporti tra ebrei e cristiani e creò un circolo virtuoso, tantissimi vescovi infatti, seguendo l’esempio del Papa, nelle loro diocesi si recarono in visita nella Sinagoga locale, innescando una consuetudine di buone relazioni sconosciuta nel passato. Sulla scia di GPII anche i suoi successori non hanno cessato di sottolineare l’importanza della conoscenza reciproca recandosi a loro volta in visita nella sinagoga di Roma, Benedetto XVI nel 2010 e Papa Francesco nel 2016 proprio in occasione della giornata del dialogo del 17 gennaio.
Conclusioni
Vorrei terminare questa breve riflessione riportando un aneddoto che lessi tempo fa, si trattava di un’intervista ad Elio Toaff, rabbino capo di Roma quando nell’86 Giovanni Paolo II si recò in visita alla sinagoga, prima volta nella storia per un Papa.
Toaff raccontava dei minuti che precedettero l’incontro, mentre la macchina con a bordo il Papa si avvicinava lui sentiva dentro al suo cuore sentimenti contrastanti e sulle spalle il peso di diciannove secoli di incomprensioni… Guardava il Pontefice avvicinarsi e nel frattempo pensava a quello che per troppo ci aveva diviso, ma quando Giovanni Paolo II si avvicinò e apri le braccia entrambi si abbandonarono in un abbraccio che scioglieva secoli di diffidenze.
L’insegnamento che ho sempre tratto dalle parole di Rav. Toaff è questo: per arginare l’odio, distruggere i pregiudizi, vincere le incomprensioni è necessario avere il grandissimo coraggio di aprire le braccia e….INCONTRARSi, solo in questo modo argineremo le pericolosissime derive ideologiche che oggi ci minacciano!
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Teologa, studiosa di ebraismo e appassionata di astronomia. Impegnata da anni nel dialogo Interreligioso, docente di religione e docente di ebraico ed esegesi dell’A.T. presso ISSR San Matteo (SA).