Qualsiasi tipo di lavoro, anche se in maniera differente non è mai un atto isolato che è separato dalla comunità, il lavoro è essenzialmente comunionale. Il lavoro tende verso la costruzione di relazioni.
Oggi, spesso vediamo una disconnessione tra il lavoro e l’amore, l’economia e la comunione. Il vero lavoro crea una solidarietà o una comunione che comporta un impegno per gli altri.
“L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente” ( RH 10).
Se le parole di Redemptor hominis sono vere e l’uomo rimane incomprensibile a se stesso senza l’amore, allora tutte le nostre azioni e relazioni devono in qualche modo essere correlate ad amare, alla comunione con Dio e con gli altri. Il lavoro deve costruire il “bene comune” dell’umanità.
Il lavoro è, ovviamente, per la famiglia in quanto fornisce sostentamento per la famiglia. Ma il lavoro è anche dalla famiglia. Noi lavoriamo perché sono state affidate alla nostra cura alcune persone e vogliamo proteggere il loro bene. Il lavoro dovrebbe aiutare a costruire la famiglia e a far diventare ogni suo membro più “umano”. La famiglia insegna come lavorare veramente in modo da difendere la dignità di tutti.
Ogni famiglia è un’economia che si apre a grandi relazioni sociali. Il vero lavoro dovrebbe contribuire alla famiglia umana. Lavorare da e per la famiglia è lavorare anche da e per la società e per renderla più umana. In tutto quello che fa, l’uomo è chiamato a mostrare l’amore che dà senso alla sua esistenza.
Oggi non possiamo non notare come la famiglia sperimenti pressioni interne ed esterne provenienti dal mondo del lavoro, in parte perché la stessa natura del lavoro è cambiata. Attualmente il lavoro molto spesso è separato dalla famiglia, tende a trattare le persone come beni industriali e i genitori sono polarizzati tra lavoro e responsabilità familiari.
Una volta quando le famiglie lavoravano insieme in aziende agricole o imprese, lavoro e famiglia non erano questioni separate. Una volta che il lavoro è stato separato dalla “casa”, la questione della responsabilità del datore di lavoro deve concentrarsi sul lavoratore e di riflesso al bene della sua famiglia.
In passato il luogo di lavoro era spesso al piano terra di un edificio, in cui la famiglia viveva nei piani superiori. Il padre insegnava al figlio l’abilità di famiglia, oggi invece i genitori lavorano fuori casa e i figli sono sempre più lontani dall’attività dei loro genitori. La rivoluzione industriale ha contribuito a questa trasformazione nell’ambito del lavoro familiare.
Il lavoro ormai è visto come un fine in sé. Altri aspetti della vita, tra cui il riposo e il tempo libero, vengono visti sempre in termini di rapporto di lavoro. Il lavoro all’interno della casa oggi è chiamato dai sociologi “lavoro non retribuito”.
Per la maggior parte delle donne risulta davvero difficile conciliare lavoro e famiglia, specialmente se si hanno figli piccoli, e per la maggior parte degli uomini è complicato, spesso impossibile mantenere una famiglia da soli senza che lavori anche la donna. I turni di lavoro e la famiglia hanno creato un mix ambiguo di nuove opzioni e nuove insicurezze, crescenti conflitti tra lavoro e genitorialità. In mezzo a questi conflitti e contraddizioni i giovani devono cercare risposte nuove e sviluppare risposte innovative.
Ciò che sta diventando chiaro in recenti dati sociologici è il crescente senso di isolamento dell’uomo moderno, sia dalla sua famiglia che dal suo lavoro. Questa è una visione dualistica e frammentata dell’uomo, che è contraria alla natura innata dell’uomo.
Il matrimonio e la famiglia sono sempre più considerati privi di significato reale in relazione al bene della società, a causa della mancanza di una utilità esplicita. La famiglia, come la religione, è stata relegata alla sfera “privata”
Lavoro e famiglia necessitano di essere armonizzati. La famiglia costituisce uno dei termini di riferimento più importanti per modellare l’ordine sociale ed etico del lavoro umano.
La famiglia è allo stesso tempo una comunità resa possibile dal lavoro e la prima scuola di lavoro. In Laborem Exercens, Giovanni Paolo II scrive:
“L’uomo è fatto per essere nell’universo visibile l’immagine e somiglianza di Dio stesso, ed è posto in essa, al fine di soggiogare la terra. Fin dall’inizio, pertanto è chiamato a lavorare… Così il lavoro porta un determinato marchio dell’uomo e dell’umanità, il segno di una persona che opera all’interno di una comunione di persone “.
Oggi, sarebbe davvero auspicabile ripartire dalla famiglia per rimettere in moto l’economia ed il lavoro, attuando reali politiche familiari a sostegno della genitorialità come slancio di ripartenza dopo la pandemia da coronavirus. Questo è il tempo giusto, il tempo favorevole che non deve fermarsi all’assegno unico approvato ed entrato in vigore dal 1 luglio 2021.
Si spera che sia un primo passo per un reale cambiamento dove non solo si comprenda che la natalità può spingere la crescita economica, ma si riconosca anche la necessità di sostenere la famiglia per non schiacciarla sotto il peso dell’inoperosità o di un lavoro non conciliabile con l’amore e la cura della famiglia.
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Teologa e consulente familiare, da anni docente di religione e della scuola di comunicazione e di Consulenza Familiare di Napoli. È direttore del Consultorio familiare Agape ODV e appassionata di teologia della famiglia e psicologia.