Dopo avervi proposto la lettura dell’ebraismo e della sua filosofia nel testo “La Filosofia Ebraica” di M.Giuliani, vorrei proporvi ora la lettura di un testo che mette in relazione dal punto di vista teologico , e non solo, ebraismo e cristianesimo.
<< Fra ebraismo e cristianesimo c’è una convergenza di fondo, inseparabile certo dalla loro diversità, eppure tale da motivare la loro ineliminabile coappartenenza…>>
Con queste parole, che esprimono una profondissima verità, si apre il saggio di mons. Bruno Forte edito da Queriniana nella collana “Giornali di Teologia” (n.400), “La Santa radice, che affronta il tema cruciale del rapporto tra la Chiesa e Israele, tra ebraismo e cristianesimo, attingendo a piene mani a studi e riflessioni già apparse in passato dello stesso teologo, oltre che ai testi cardini del dialogo tra ebrei e cristiani.
Il libro si articola in otto capitoli, ma può essere tranquillamente diviso in due sezioni:
Prima sezione
la prima composta dai primi tre capitoli in cui il nostro autore mostra quanto sia grande il patrimonio di fede che accomuna ebrei e cristiani, entrambi testimoni nella storia dell’Altro trascendente, un Dio totalmente Altro che non disdegna di farsi vicino, di “attendarsi” in mezzo al suo popolo, è la dottrina ebraica della Shekinah, la tenda divina alzata fra gli uomini che accompagna il popolo eletto perfino in esilio.
Nella stessa maniera, per i cristiani, il Figlio Eterno si annienta fino a farsi carne, Egli infinito si lascia contenere nel finito, in questo modo
<<ebraismo e cristianesimo sono in forma convergente, anche se per via di una irriducibile differenza, testimoni dell’Altro, trascendente e vicino, umile e sovrano>> (13).
La presenza di Dio, il suo destinarsi agli uomini avviene per Ebrei e Cristiani soprattutto attraverso il dono della Parola, che tocca il suo vertice per il cristianesimo nell’incarnazione del Verbo.
Le due religioni risultano così fedi di risposta alla Parola divina, religioni del Libro, dipendenti completamente dalle Scritture in cui questa Parola è codificata. Le parole in cui dimora la Parola, sgorgata a sua volta dall’eterno Silenzio di Dio, vanno per questo scrutate profondamente, ruminate e nel silenzio del cuore accolte affinchè possano portare frutto.
La differenza fra Israele e la Chiesa non potrà mai cancellare questa profonda appartenenza tra i due popoli dell’Alleanza, e tutto ciò che la tradizione ebraico-cristiana ha donato alla cultura umana, essi rimarranno per sempre come i due esploratori di ritorno dalla terra di Canaan descritti nel libro dei Numeri (Nm 13,23), che portano insieme un’asta da cui pende un grappolo d’uva (da questi versetti è tratta la bellissima immagine di copertina del libro).
I Padri hanno visto in questa immagine proprio Israele e la Chiesa, gli esploratori, e nell’asta portata dai due la croce a cui è appeso il Cristo, il grappolo d’uva. Israele e la Chiesa avanzano insieme nella storia divisi e nello stesso tempo misteriosamente congiunti dal legno della Croce di Cristo, è e sarà così fino alla fine dei tempi quando si realizzerà lo Shalom finale e il Messia arriverà per gli ebrei e ritornerà per i cristiani.
Seconda sezione: ilcontributo dell’ebraismo e cristianesimo alla cultura occidentale
La seconda sezione si occupa del contributo che il pensiero ebraico-cristiano ha fornito alla nascita della cultura occidentale europea.
Se l’invenzione del concetto di “politica”, così importante nella formazione dell’assetto europeo, è da attribuire alla cultura greca, l’invenzione della storia intesa come concezione del tempo che procede a senso unico verso il futuro della promessa di Dio è senza dubbio da attribuire al profetismo biblico.
La storia non è vista più come l’eterno ritorno dell’identico, ma come il luogo dove Dio agisce e parla, luogo della salvezza, tutta protesa verso la realizzazione finale delle promesse di Dio. All’interno di questo scenario di formazione della cultura occidentale fondamentale è anche il concetto di “persona” elaborato in seno al cristianesimo.
La “persona” dotata di un’immensa dignità in quanto creatura e di una singolarità irripetibile, è il soggetto fondamentale dell’agire politico e il principale abitante del tempo storico. La valorizzazione delle radici ebraico cristiane della cultura occidentale deve spingere la nostra società a guardare alla realtà sempre con sguardo profetico per battersi sempre per la causa della giustizia e della pace tra i popoli.
Centrale in questa seconda sezione è il capitolo 6 che cerca di dare risposta a quesiti fondamentali del nostro tempo: come va concepito oggi il rapporto tra ebraismo e cristianesimo?
È possibile una “riconciliazione”, ed eventualmente che riconciliazione sarebbe?
Secondo l’Apostolo Paolo una piena riconciliazione tra i cristiani e il popolo ebraico, da lui definito appunto “la santa radice”, sarà possibile solo alla fine dei tempi, ciò che tanto desideriamo apparterrà al tempo dell’éschaton. Ciò significa che nel tempo che intercorre tra la prima venuta di Cristo e quella definitiva quello che possiamo fare è solo percorrere un cammino verso la riconciliazione,
<<Israele e la Chiesa dovranno camminare in-confusi, anche se inseparabili, fino all’integrazione finale operata da Dio, in quello shalom escatologico che è l’oggetto della speranza messianica di entrambi i popoli>> (104).
Nel frattempo, affinché questo cammino verso la riconciliazione si basi su premesse di pace e di amore, si possono compiere dei gesti significativi come non pronunciare il Tetragramma sacro e istituire e celebrare una giornata dell’ebraismo, gesti simbolici sicuramente ma che possono far comprendere meglio anche ai cristiani quanto profondo sia il nostro rapporto con il popolo ebraico, il popolo della prima alleanza voluta da Dio e mai revocata.
Il testo si chiude con una bella riflessione sulla società secolare che in nome dell’emancipazione estrema ha “assassinato il Padre”, convinta che L’uomo potesse fare a meno di Dio e bastare a se stesso, chiuso nella mondanità l’essere umano ha sostituito il Padre con dei “padroni”, come le varie ideologie del ‘900 tutte sfociate in totalitarismi e violenze.
La conseguenza estrema di tutto ciò è stata la deriva del nichilismo, tutto perde di senso, di significato. Oggi per dare risposte alla ricerca di senso dell’uomo sono necessari leader religiosi coraggiosi che testimonino con la loro vita quello che annunciano.
La figura biblica a cui questi leader devono ispirarsi è senza dubbio Mosè, l’uomo dell’ascolto e dell’intercessione, l’uomo la cui fede è stata molto messa alla prova, l’uomo della Parola e della responsabilità, emblema di saggezza e forza tanto per gli ebrei quanto per i cristiani.
Considerazioni
La prima cosa che traspare leggendo questo testo, breve ma ricco di spessore e di contenuti, è senza dubbio l’amore che l’autore ha messo nello scrivere ogni parola, l’ossequioso rispetto che egli prova dinanzi al popolo ebraico, il suo sentirsi parte di questo popolo a cui apparteneva, e questo non dobbiamo mai dimenticarlo, lo stesso Gesù di Nazaret, ebreo ed ebreo per sempre.
L’autore stesso nella prefazione al libro lo afferma chiaramente, quello che lo spinge ad approfondire la conoscenza del popolo eletto è principalmente l’amore, amore che egli sente per i nostri fratelli maggiori e per Cristo.
La prima parte, che è la più complessa, è ricca di spunti di riflessione teologici interessanti al cui approfondimento deve dedicarsi lo studioso ma anche il semplice cristiano che voglia progredire sempre più nella conoscenza del suo Signore e del popolo a cui Egli appartiene.
Un limite che può essere riscontrato in questa prima sezione è il seguente: l’Autore, pur toccando numerose questioni teologiche, si mantiene sempre ad un livello piuttosto superficiale, tocca molti temi ma non li sviscera fino in fondo. Nel complesso comunque il testo raggiunge pienamente l’obbiettivo che si prefigge, mostrare al lettore quanto bello sia il patrimonio che accomuna e che separa l’ebraismo dal cristianesimo e spingerlo ad amare sempre più il popolo ebraico che con la sua sapienza e le sue riflessioni tanto ha donato all’umanità tutta!
Voglio concludere riportando un testo rabbinico citato dallo stesso Autore nel testo:
si racconta che quando Dio creò il mondo gli diede dieci misure di bellezza, nove le ebbe Gerusalemme, una il resto del mondo; dieci misure di sapienza, nove a Gerusalemme e una al resto del mondo; dieci misure di dolore, nove a Gerusalemme e una al resto del mondo….
L’auspicio è che noi cristiani riusciamo sempre di più ad essere vicini ai nostri fratelli maggiori nelle nove misure di dolore, per poter partecipare con loro alle nove di sapienza e di bellezza!
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Teologa, studiosa di ebraismo e appassionata di astronomia. Impegnata da anni nel dialogo Interreligioso, docente di religione e docente di ebraico ed esegesi dell’A.T. presso ISSR San Matteo (SA).