L’atroce notizia dell’uccisione di un bambino di 9 anni da parte della madre scuote le coscienze e interroga profondamente la società, la psiche e la fede. Quando la genitorialità, dono sacro e chiamata divina, si spezza fino a diventare strumento di morte, non possiamo restare in silenzio.
La teologia, come lettura sapienziale della vita alla luce di Dio, ha il compito di interrogarsi: cosa accade quando l’amore che dovrebbe custodire diventa distruttivo? Come comprendere l’abisso in cui può cadere l’essere umano? E qual è oggi il volto autentico della genitorialità cristiana?
Quando la relazione genitoriale si deforma fino a diventare violenta, siamo davanti a una frattura profonda del progetto originario di Dio. L’omicidio di un figlio da parte di chi dovrebbe amarlo rappresenta l’estremo capovolgimento del principio della cura
Davanti a simili fatti, non siamo chiamati solo a condannare il gesto, ma a interrogarci e ad accompagnare. Come comunità di credenti, è urgente riscoprire il valore della prevenzione, dell’ascolto, della rete familiare e spirituale.
Una madre che giunge a togliere la vita al proprio figlio è, in modo drammatico, una persona abbandonata e smarrita. Non giustificata, ma da comprendere per guarire ciò che nella società e nella famiglia si sta spezzando. L’educazione all’essere genitori deve diventare parte della formazione cristiana.
La genitorialità non può essere solo istinto o ruolo sociale, ma va sostenuta come vocazione. Le comunità cristiane dovrebbeto diventare luoghi in cui madri e padri si sentono accompagnati, dove le fragilità trovano ascolto e dove il Vangelo aiuta a dare senso anche ai momenti di crisi.
Davanti alla morte di un bambino, si alza il grido più difficile: “Dov’era Dio?”. Il cristianesimo non offre risposte facili, ma mostra un Dio che non abbandona il dolore: un Dio che ha conosciuto la morte del Figlio innocente. Il piccolo ucciso non è solo vittima della violenza umana, ma ora è nelle braccia di quel Padre che «non spezza la canna incrinata» (Is 42,3) e non dimentica nessuna delle sue creature.
Nella Scrittura, Dio si rivela come Padre e Madre (cfr. Is 66,13; Os 11,1-4), e la genitorialità umana è chiamata a riflettere questo amore originario: gratuito, accogliente, paziente.
Essere genitori, nella prospettiva cristiana, non è un possesso ma una missione: generare alla vita biologica è solo l’inizio di un cammino che comporta la responsabilità di custodire, educare, guidare e lasciare liberi.
Farsi sentinelle
La comunità cristiana non può restare estranea al dolore di chi vive un fallimento genitoriale. Il Vangelo ci chiama a prenderci cura non solo dei figli, ma anche dei genitori fragili, soli, o preda di disagio psicologico. Il discernimento pastorale deve spingere le parrocchie, i consultori familiari, le scuole cattoliche e le associazioni laicali a farsi sentinelle del disagio, prima che il male esploda in tragedia.
Papa Francesco, infatti, nell’Amoris Laetitia, invita la Chiesa ad assumere uno stile “ospedale da campo”: non solo curare le ferite, ma ascoltare, prevenire, formare. Una genitorialità sana si costruisce nel tempo, e va accompagnata, soprattutto nei momenti di crisi relazionale, economica o interiore.
Essere madre o padre, nella luce della fede, è anche un cammino spirituale. È imparare ogni giorno ad amare con libertà, ad accettare i limiti propri e quelli del figlio, a perdonare, a lasciar crescere.
Una spiritualità della genitorialità può aiutare gli adulti a vivere questa vocazione non come un peso, ma come una via di santità nella vita quotidiana. Figure bibliche come Anna, Maria, Giuseppe, e anche i dolori di Abramo o di Giobbe, mostrano quanto la genitorialità sia intrecciata al mistero della fede, della perdita, dell’offerta. In questi esempi, anche il dolore diventa occasione di affidamento.
Occorre una nuova alleanza educativa che coinvolga scuola, famiglia, Chiesa e territorio. Una genitorialità autentica si costruisce anche a partire da un contesto sano e solidale.
L’omicidio di un figlio è il segno più tragico della crisi della genitorialità, ma anche il grido più urgente per una conversione. La teologia non può tacere: deve parlare con parole di verità, misericordia e speranza, affinché la genitorialità torni ad essere ciò che Dio ha pensato fin dal principio: un riflesso del suo amore eterno.
Nel cuore spezzato di questo bambino – e di tanti altri invisibili – la Chiesa è chiamata a custodire il grido di Dio: “Che hai fatto di tuo figlio? La sua voce grida dalla terra” (cfr. Gen 4,10). Allo stesso tempo, Dio non punisce con vendetta, ma apre una via di misericordia. Anche a Caino viene dato un segno, non per assolvere, ma per impedire l’odio (Gen 4,15). Questo è il mistero della giustizia intrisa di compassione.
Quando si rompe il legame tra amore e responsabilità, la genitorialità si corrompe. Il peccato, nella Bibbia, si manifesta spesso nelle relazioni familiari: Caino e Abele, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe venduto dai fratelli. La frattura originaria dell’amore si riflette nel cuore stesso della famiglia.
L’omicidio di un figlio da parte di un genitore, come nel caso tristemente reale di cronaca, è una delle forme più estreme di questa rottura del progetto divino. È un gesto che contraddice radicalmente la natura stessa della maternità e della paternità, che in Dio sono custodia, compassione, fedeltà.
Ma è anche il segno di un vuoto interiore profondo, spesso segnato da solitudine, disagio psichico, e assenza di reti di sostegno. In questo senso, il peccato è anche sociale, e chiede alla comunità (civile ed ecclesiale) di interrogarsi.
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Marzo 4, 2024Teologa e consulente familiare, da anni docente di religione e della scuola di comunicazione e di Consulenza Familiare di Napoli. È direttore del Consultorio familiare Agape ODV e appassionata di teologia della famiglia e psicologia.
