Il lavoro è una parte importante della vita umana, esso occupa il nostro tempo e assorbe energie e fatica, è fonte di aspirazioni e di soddisfazioni, di delusioni e di frustrazioni. (a tal proposito vedi l’articolo “L’urgenza Di Armonizzare Lavoro E Famiglia.”)
Ognuno di noi attribuisce al lavoro un significato nell’ambito della propria esistenza. Il lavoro non è soltanto un mezzo per vivere, ma anche un valore in sé, perché contribuisce a realizzare la nostra umanità, ci fa sentire utili alla società e agli altri e così contribuisce a dar senso alla nostra esistenza.
Visto l’importanza che questo tema riveste per la persona umana il Magistero della Chiesa si è sempre preoccupato di approfondirlo, soprattutto in seguito alle profonde trasformazioni sociali ed economiche dell’epoca moderna che spesso hanno portato ad una distorsione del rapporto dell’uomo con il suo lavoro e alla sua alienazione.
Oltre che dalle trasformazioni in atto nella società il Magistero, per elaborare la sua riflessione sul lavoro, ha attinto soprattutto dalla Rivelazione, la Bibbia infatti illumina tutto ciò che riguarda la dimensione umana e ne manifesta il suo senso più profondo. In questo breve intervento cercheremo proprio di capire quale concetto di lavoro emerge dai testi biblici.
Il lavoro nell’Antico Testamento
Il testo sacro si apre proprio in Gn 1 con l’immagine di Dio che opera, “lavora”, alla creazione, Egli come un instancabile operaio da forma alla realtà, separa le acqua inferiori da quelle superiori, crea la terra ed ogni sorta di creatura e al culmine della creazione crea l’uomo. L’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio è posto nel giardino dell’Eden con il compito di lavorarlo e custodirlo, si legge infatti in Gn 2,15:
Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse
Alla prima coppia umana Dio affida il compito di soggiogare la terra e di dominare su ogni essere vivente (Gn 1,28) questo dominio però non ha in se l’aspetto dispotico a cui siamo generalmente abituati a pensare utilizzando questo termine.
L’uomo è chiamato a «coltivare e custodire» i beni creati da Dio e che ha ricevuto come dono prezioso, del quale avere cura con responsabilità. Coltivare la terra significa non abbandonarla a se stessa; esercitare il dominio su di essa significa averne cura, così come un re saggio si prende cura del suo popolo e un pastore del suo gregge.
La verità che emerge da questi primi versetti del testo sacro è importantissima, il lavoro, l’operare umano che agisce sulle cose create per trasformarle e migliorarle, è una dimensione importante della dignità della creatura di Dio, presente dall’inizio della creazione, non è quindi da leggere come spesso avviene, come una punizione dovuta al peccato dell’uomo, il lavoro anzi è una grazia e una vocazione che permette alla creatura, creata a somiglianza e immagine di Dio, di prendere parte all’azione creatrice del Suo Creatore.
E così come Dio ha lavorato per sei giorni ma il settimo giorno si è riposato cessando da ogni attività, così è chiamato a fare anche l’uomo rispettando il riposo dello Shabbat, si legge in vari passi della Bibbia:
Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto. (Gn 2,1-3)
Sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; 10 ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. 11 Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro. (Es 20,9-11 ripetuto di pari passo in Dt,5).
Per sei giorni farai i tuoi lavori, ma nel settimo giorno farai riposo, perché possano goder quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero. (Es 23,12 da notare che presso Israele il riposo sabatico includeva anche gli schiavi e gli animali!)
Quello che emerge dal testo è che il lavoro umano è orientato proprio al riposo sabatico che ci permette di mantenere il giusto rapporto con Dio, il sabato è il giorno della libertà, è il giorno in cui ci ricordiamo che tutto prende senso da Dio, anche l’operare dell’uomo, e che tutto è subordinato a Lui.
Il mito Babilonese di Atrahasis
Questa visione così positiva dell’operare umano è peculiare della Bibbia e quindi del popolo ebraico e differisce in maniera sostanziale dalla visione che le popolazioni del Medio oriente avevano del lavoro (ex il mito babilonese di Atrahasis (2000-1500 a.C.): Prima degli uomini, vi erano solo dèi, divisi in due schiere: i sette superiori governavano ogni cosa, quelli inferiori compivano, costretti dai primi, ogni sorta di lavoro. I secondi si ribellarono, bruciando gli strumenti di lavoro e manifestando davanti al palazzo di uno degli dèi superiori.
Fu per questo che gli dèi crearono l’uomo, cui spettò il lavoro e la libertà fu prerogativa degli dèi. Così come differisce anche dalla visione classica che vede nel lavoro fisico qualcosa di negativo e quasi indegno da riservare agli schiavi.
Per il testo biblico invece è solo con il peccato di Adamo ed Eva che l’armonia primitiva viene spezzata e il lavoro perde la sua dimensione di feconda collaborazione con il Creatore e assume i tratti della fatica e della difficoltà.
L’uomo disobbedendo ad un preciso ordine di Dio distorce la perfezione originaria della creazione, tentando di avere il dominio sulla realtà dimentica di essere creatura e non Creatore. Questa concezione pessimistica si sviluppa negli episodi di Caino e Abele e della Torre di Babele, nei quali viene condannata la concezione del lavoro separato da un giusto rapporto con Dio e frutto della superbia e della malvagità dell’uomo.
La giusta dimensione del faticare dell’uomo viene ristabilita nella riflessione biblica successiva (testi sapienziali e profetici), il lavoro viene presentato come una necessità per l’uomo e va interpretato alla luce di un corretto rapporto con Dio: non deve diventare un idolo, il solo scopo della vita, un valore assoluto, ma rimanere sempre legato alla preghiera e subordinato al giorno del riposo, giorno dedicato esclusivamente al culto di Dio.
I tre insegnamenti dell’AT
Gli aspetti del lavoro che emergono da questi testi possono essere raggruppati in tre insegnamenti principali:
L’appetito del lavoratore lavora per lui, perché la sua bocca lo stimola. (Pr 16,26)
Va’ dalla formica, o pigro, considera le sue abitudini e diventa saggio. Essa non ha né capo né sorvegliante né padrone;si procura il cibo nell’estate e raduna le sue provviste durante la mietitura. Fino a quando, o pigro, rimarrai a dormire? Quando ti scuoterai dal tuo sonno? Dormire un po’ sonnecchiare un po’ incrociare un po’ le braccia per riposare cosí la tua povertà verrà come un ladro, e la tua indigenza come un uomo armato. (Pr 6, 6-11).
Fallo lavorare perché non stia in ozio, poiché l’ozio insegna molte cattiverie. (Sir 33,28).
Guai a chi fa lavorare il suo prossimo gratuitamente e non gli retribuisce il suo lavoro… (Ger 22,13)
avete estorto l’affitto contro il misero e tributo di frumento ghermivate da lui… (Am 5,11)
Guardati dal dire nel tuo cuore: la mia forza e la robustezza della mia mano mi hanno procurato questo benessere. Ricordati del Signore tuo Dio, poiché Lui ti ha dato la forza di procurarti tale benessere. (Dt 8,11).
Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re a Gerusalemme.Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità: tutto è vanità. Quale guadagno viene all’uomo per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole? (Qo 1,1-3)
È meglio aver poco con il timore di Dio che un grande tesoro con l’inquietudine. (Pr 15,16)
Il lavoro nel nuovo Testamento
Nel Nuovo Testamento ritroviamo tutta la ricchezza di concetti presenti nell’Antico, essi vengono ripresi e perfezionati dalla persona stessa di Gesù Cristo.
Gesù ha infatti trascorso gran parte della sua vita lavorando come falegname e carpentiere, si legge a questo proposito nella Laborem exercens di Giovanni Paolo II (il testo più significativo se vogliamo per quanto riguarda la dottrina sociale della Chiesa in merito al lavoro):
Colui il quale essendo Dio è divenuto simile a noi in tutto, dedicò la maggior parte degli anni della sua vita sulla terra al lavoro manuale, presso un banco di carpentiere. Questa circostanza costituisce da sola il più eloquente “Vangelo del lavoro”…(LE 6).
Nella sua predicazione, Gesù insegna ad apprezzare il lavoro; descrive la sua stessa missione come un operare: «Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco» (Gv 5,17). I discepoli stessi del Signore sono da Lui designati come «operai nella messe» (cfr. Mt 9,37-38).
Gesù è presentato dai Vangeli come un lavoratore instancabile che durante la sua predicazione si sposta continuamente compiendo miracoli e potenti opere per liberare l’uomo dalla malattia, dalla sofferenza e dalla morte.
Addirittura alcuni studiosi ritengono anche plausibile che Gesù svolgesse un’attività di insegnamento nelle sinagoghe retribuita tramite delle offerte, questo spiegherebbe anche l’accenno dei Vangeli ad una cassa tenuta e gestita da Giuda.
Questo aspetto così positivo dell’operare umano che emerge dalla vita stessa di Gesù e che è evidenziato anche in alcuni brani evangelici come ad esempio la parabola dei talenti (MT 25,14-30- dobbiamo far fruttare i talenti che il Signore ci ha donato per il nostro bene e la nostra crescita e per quella della comunità) si contrappone ad altri brani in cui Gesù insegna a non lasciarsi asservire dal lavoro: la priorità va data all’anima, perché guadagnare il mondo intero non è lo scopo della vita (come leggiamo in Mc 8,36).
Il lavoro non deve essere fonte di affanno e preoccupazione e diventare la cosa più importante della vita. Nella visita a Marta e Maria (Lc 10,38-42) e nel Discorso della Montagna (Mt 6,25-34), Gesù antepone ad un attivismo esagerato l’ascolto della Parola di Dio e all’accumulo dei beni materiali il fiducioso abbandono alla Provvidenza divina.
Nonostante l’uomo non debba essere asservito al lavoro esso non è esonerato dal lavorare, anzi, ce lo ricorda San Paolo nella sua seconda lettera ai Tessalonicesi:
E infatti quando eravamo presso di voi, vi demmo questa regola: chi non vuol lavorare neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione. A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace. (2 Ts 3,10-12).
I Tessalonicesi sono esortati da Paolo a seguire il suo esempio (egli ha sempre lavorato per guadagnarsi il pane e per non essere di peso a nessuno durante la sua missione di evangelizzazione) e a lavorare non solo per procurarsi il pane, ma anche per sollecitudine verso il prossimo più povero, al quale il Signore comanda di dare da mangiare, da bere, da vestire, accoglienza, cura e compagnia.
Conclusioni
In conclusione possiamo affermare (riprendendo ciò che è scritto nella Laborem exercens 27) che il lavoro rappresenta una dimensione fondamentale dell’esistenza umana come partecipazione non solo all’opera della Creazione ma anche a quella della Redenzione.
L’uomo che sopporta la stanchezza del lavoro in unione con Gesù coopera in un certo senso con il Figlio di Dio alla sua opera redentrice e testimonia che è discepolo del Cristo portando la croce ogni giorno nell’attività che è chiamato a svolgere.
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Teologa, studiosa di ebraismo e appassionata di astronomia. Impegnata da anni nel dialogo Interreligioso, docente di religione e docente di ebraico ed esegesi dell’A.T. presso ISSR San Matteo (SA).