Il rosso sul calendario racconta di un senso molto più profondo della sola tradizione della Befana

L’Epifania tutte le feste si porta via… La Befana… non fa rima…

Basterebbe questo per tornare a riflettere sul fondamento religioso che ha il 6 gennaio per meritarsi il “rosso” sul calendario. Così come Santa Klauss, San Nicola, è l’incaricato per portare i regali a tutti i bambini nel giorno del compleanno di Gesù, allo stesso modo la Befana, che null’altro è che la traduzione dal greco della parola “Epifanéia”, la manifestazione al mondo di Dio incarnatosi nel bambino Gesù, rappresenta la voglia di mettersi in cammino per riconoscere e portare doni a quel bambino appena nato, a quella speranza appena nata.

Tuttavia le fattezze di una vecchia che viaggia di casa in casa sul manico di una scopa, trovano radici secondo alcuni nella divinità romana di Strenia, simbolo del nuovo anno, celebrata con i tradizionali scambi di doni augurali durante i Saturnali (da questa tradizione deriva il termine “strenne”).

Mentre,secondo altri. si deve alle misteriose figure femminili pagane che si credeva volassero sui campi per propiziare i futuri raccolti, guidate da Diana (la dea lunare della caccia e della vegetazione) o da Sàtia (una divinità minore legata al concetto di sazietà). Resta il fatto che la nostra Befana è profondamente intrisa del senso del dono che caratterizza la tradizione dell’arrivo dei Magi per omaggiare Gesù.

Il Vangelo secondo Matteo è l’unico a tramandarci questo episodio e lo lega al fatto che il Dio incarnatosi nella tradizione ebraica, nella promessa dell’Antico Testamento, viene riconosciuto anche dai saggi “dell’Oriente”.

Ossia l’incarnazione di Gesù non è un dono riservato al popolo a cui lo stesso appartiene per etnia, ma si apre all’intera umanità che è in grado di riconoscerlo, nonostante non faccia già parte del cammino di fede aperto con il patriarca Abramo. L’Epifania è quindi un messaggio che si apre a tutti gli uomini e a tutte le donne, di ogni tempo, di ogni etnia, di ogni condizione sociale e di ogni religione.

Nel dono dell’oro c’è il riconoscimento della regalità di Gesù, nell’incenso quello della sua divinità, nella mirra l’anticipazione della sua passione, morte e risurrezione. Proprio la manifestazione agli occhi del mondo, e riconosciuta dai saggi del mondo, è quella che più si lega alla pienezza della fede cristiana, il Mistero Pasquale.

Questa dimensione è ben raccontata attraverso una tradizione apocrifa, ripresa sul finire dell’800 dal romanziere statunitense Henry Van Dyke, ma parallelamente presente anche nella tradizione orientale attraverso Nicolaj Leskov, ossia la leggenda del quarto magio.

Il quarto magio

Questo personaggio di nome Artaban, uscito ahi lui dalle cronache ufficiali, voleva portare a Gesù delle pietre preziose, uno zaffiro, un rubino e una perla. Come gli altri Magi, vede segni nel cielo che annunciano che un Re era nato tra i Giudei, tuttavia, si ferma lungo la strada per aiutare e risanare un moribondo, ciò causa un ritardo che gli impedisce di incontrare la carovana degli altri tre saggi, i ben noti Gaspare, Melchiorre e Baldassarre.

Poiché ha perso la carovana, e non può attraversare il deserto con un solo cavallo, è costretto a vendere uno dei suoi tesori per acquistare i cammelli e le provviste necessarie per il viaggio. Quindi inizia il suo viaggio ma arriva a Betlemme troppo tardi per vedere il bambino, i cui genitori sono fuggiti in Egitto.

Si reca in Egitto e in molti altri paesi, cercando Gesù per molti anni e compiendo atti di carità lungo il cammino. Dopo 33 anni, Artaban è ancora un pellegrino ma arriva a Gerusalemme giusto in tempo per la crocifissione di Gesù, viene colpito accidentalmente da una tegola e poco prima di morire sente una voce che gli sussurra: “In verità ti dico, tutto quello che hai fatto per l’ultimo dei miei fratelli, tu lo hai fatto per me” (Mt 25, 45). È proprio questo il cuore dell’insegnamento di Gesù.

Ecco che allora riflettere sull’Epifania apre anche i cristiani a una maggiore comprensione del senso ultimo della incarnazione di Gesù, la salvezza per tutti, il dono di amore per tutti, il riconoscimento della piena dignità di tutti.

In fondo è questo quello che ha voluto insegnare Gesù con la sua vita, anche per chi fa fatica a credere (o non conosce) l’epilogo della sua morte e risurrezione.

Ed è bello che la Chiesa lo viva quest’anno, e fino al 6 gennaio dell’anno prossimo, nello spirito giubilare che invita tutti e ciascuno a farsi “Pellegrini di Speranza”. Quella Speranza di cui il mondo – è sempre più evidente – non può fare a meno.


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La Stella dei Magi di MariaVelia Loguercio.


Vito Rizzo teologo ,giornalista,pubblicista
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Nel corso degli anni ha fatto suo il motto paolino «guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1Cor 9, 16). È avvocato, giornalista pubblicista, docente e catechista. Specializzato in teologia fondamentale presso la PFTIM - Sezione “San Luigi” con una tesi sulla fede popolare, ha approfondito nei suoi studi il magistero post-conciliare e in particolare quello di Papa Francesco. È direttore organizzativo del Festival della Teologia “Incontri”.

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