Un click di qua, un like di là. Ora ci si concede una sbirciatina al commento della Lucarelli e in pochi istanti ci si ritrova a fare zapping tra le finestre social sulla vita ostentata dagli altri.
Quanti amori eterni ha avuto Belen, con quante “signorine” è stato Stefano, quanti Sanremo vorrà condurre Amadeus? Il Pandoro si fa così. Se vuoi avere successo occorre vestirsi così.
Sorrisi smaglianti si alternano a reazioni sguaiate, si alimenta il trash (così si chiama oggi), si condanna per poi celebrarlo in modo comunitario quanto anonimo, seduti all’ombra di uno schermo, ignari che anche le parole, quelle scritte di getto, possano avere un peso, sortire un effetto indesiderato.
E quanto pesa il giudizio degli altri, espresso con fiumi di parole d’odio, imitando i giudici nei reality di ultima generazione? Adulti e adolescenti sembrano caduti nel tranello del “Truman Show”, lì, rinchiusi in gabbie invisibili, nel rispetto dell’immaginario delle monadi di Leibniz, a scambiarsi likes dopanti per l’ego.
E così, più o meno inconsapevolmente, ci si ritrova su quella barca sconvolta dal mare in tempesta di emozioni fluttuanti ed effimere. In mano la certezza dello smartphone e l’incertezza del nostro esistere. Non sappiamo neppure a chi rivolgerci perché, si sa, pensare a Dio sarebbe troppo compromettente.
Troppo, come dire…virtuale. Si riceverebbero troppi pochi likes. Ma, si sa, non di soli “likes” vive l’uomo.
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