Quando ad ammalarsi è la Verità
Ero comodamente seduto in giardino ad osservare una coppia di pappagalli smezzarsi semini di una palma del vicino, mentre un tafano zigzagava indeciso sul mio braccio altrettanto affamato, quando domande profonde mi hanno distratto.
Che cosa è la verità o come è percepita?
Chi si assume la responsabilità di definire la verità?
Chi dispensa la verità?
E con la mente ho iniziato a viaggiare cercando di materializzare un ponte tra la mia generazione e le nuove. Sinteticamente, il “sistema Verità” è sondato e approfondito in filosofia: chi non ricorda Socrate e la maieutica, l’arte di tirare fuori la verità presente in modo innato in ciascun essere umano e chi avrà mai sentito parlare dei sofisti e dell’eristica. La retorica diveniva per loro via privilegiata per confutare la verità altrui. Sin dal principio abbiamo potuto distinguere due approcci:
- Il primo inquadra una verità indipendente e libera, radicata nella realtà seppur dialogica dell’essere.
- Il secondo inquadra una verità dipendente dalla bravura del retore, dunque radicata alla dimostrazione e all’apparire.
Raccoglievo questi frammenti di memoria mentre i due pappagalli battibeccavano saltellando chiassosi su un’altra pianta ben più grossa e frondosa; ma nel piattume del silenzio pomeridiano contribuivano creando un sottofondo musicale piacevole, vivo, accettabile.
È innegabile sottolineare come siano cambiati i tempi e la ricerca della verità.
Verità e social media
È cambiato il contesto: la vita è molto più frenetica, social e media sono molto più invadenti, gli stili comunicativi sono mutati se non evoluti, la scuola e la famiglia non rappresentano i poli promotori della verità reale, ma aridi ripetitori di verità del passato (e quindi nemmeno relative, ma superflue).
E forse sono cambiati gli interlocutori: abbiamo iniziato a correre così velocemente da aver creato categorie generazionali autoreferenziali, caratterizzate dalla incapacità di gestire la comunicazione, nelle quali la realtà coincide alla riproduzione di bolle asettiche confortanti.
Ci riscopriamo ad ascoltare un po’ tutto e in realtà niente, un po’ tutti e in realtà nessuno. Questo processo in immagine assomiglia ad un terreno continuamente ritrattato, destinato alla desertificazione. Bauman ci racconterebbe dell’assenza di desiderio che ha reso i legami semplici connessioni a tempo. La verità, a suo dire, è divenuta una esperienza al limite prodotta dal mal-essere più che dal ben-avere, perché esteriormente scomoda e intimamente scomodante.
“Allora dove ricerchiamo la verità?” (“Dove abita?”, domanderebbe qualcuno)
In meno di tre decenni abbiamo abbandonato le enciclopedie cartacee per sostituirle allo zapping su wikipedia e simili, siamo caduti nella trappola del tutto e subito, dal take away al delivery della conoscenza.
E questo, le nuove generazioni lo hanno assimilato alla perfezione, al punto da occupare buona parte della giornata visionando convegni spot su tik-tok e altri canali mimetici supernuovi oggi e già scartati domani. È emersa una nuova figura di filosofo, condivisore di esperienze vere ma virtuali: l’influencer.
Nuovi filosofi: gli influencer
A questa nuova figura (figurante) il compito e l’onore di distribuire conoscenza, confutare e dimostrare la realtà, reinterpretandola secondo il proprio canone di vita, quasi sempre orientato al successo, alla fortuna e al potere.
L’influencer è vocato a farsi prossimo attraverso uno stile comunicativo diretto e ovvio, orientato ad utilizzare i seguaci come scalini per scalare la vetta dell’Ego, alla cima della quale giudicare il mondo senza quasi mai aver raggiunto una qualifica professionale tradizionale e riconosciuta. Spesso, come figurante, è solo un prestanome di un gruppo anonimo che lo gestisce per promuovere una linea di pensiero commerciale.
Ed ecco, osservando il tafano andar via dal mio braccio, mi rendo conto di essere al termine del viaggio. Sono cambiati la cornice, il contesto, gli interlocutori ma non il modo di interrogarsi sulla verità. La filosofia dell’essere, la filosofia della strada, del mettersi in cammino, è per pochi coraggiosi e, di questo, Socrate era convinto.
La filosofia dell’apparire, del conflitto, dell’interesse, in un mondo schiavo del guadagno facile è lo specchio per le allodole piazzato per distrarre le masse e arricchire i soliti.
Ne discende una immagine di verità distorta, ammalata, impotente, lontana dal mito della perfezione e della eternità, per nulla amorevole e giusta, bruttina e anche caotica e mutevole, per nulla interessante. Una immagine di verità a tratti anoressica e a tratti bulimica (ritorna Bauman).
E così, comodamente seduto in giardino ad osservare una coppia di pappagalli litigiosi, mi domando:
“Non è forse l’aver consegnato alle nuove generazioni la percezione di una Verità malata una pandemia altrettanto pericolosa per la sopravvivenza del genere umano?”
Ti potrebbe interessare anche:
Attualmente insegna IRC nelle scuole secondarie a Roma, collabora con l'equipe pastorale di Porto Santa Rufina per la formazione e la catechesi. Già baccelliere in teologia presso la PFTIM San Tommaso, ha approfondito gli studi di licenza in cristologia dogmatica. Dottore in Lettere e filologia moderna, è coautore di un saggio sul pensiero teologico e politico su Lutero, Calvino e Zwingl